Cass. 13 gennaio 2020, n. 345
L’azione di responsabilità contro il direttore generale che non sia stato nominato con delibera assembleare, o del CdA secondo apposita previsione statutaria, deve essere proposta al giudice del lavoro, non al Tribunale delle Imprese.
È quanto si evince dall’ordinanza n. 345 del 13 gennaio 2020 della Cassazione, chiamata a decidere sul regolamento di competenza proposto da una società cooperativa agricola che aveva agito per il risarcimento dei danni nei confronti del proprio manager. La Sezione Imprese del Tribunale di Trento ha declinato la propria competenza in materia, ritenendo sussistente quella del Giudice del lavoro; pertanto, la società cooperativa ha proposto ricorso per regolamento di competenza, giudicato infondato dalla Suprema Corte.
Per gli Ermellini l’incompetenza del Tribunale delle Imprese è conseguenza dell’inapplicabilità, al caso in esame, dello speciale ed eccezionale regime di responsabilità del direttore generale formalmente nominato previsto dall’art. 2396 c.c., che riserva la disciplina dettata per la responsabilità degli amministratori anche ai direttori generali delle società di capitali che siano “nominati dall’assemblea o per disposizione dello statuto”.
Nella fattispecie, la nomina del manager da parte del consiglio di amministrazione avvenuta senza una specifica previsione statutaria non ha integrato i requisiti formali richiesti dalla norma civilistica, escludendone l’applicazione.
Dal momento che il legislatore non ha fornito una nozione intrinseca di direttore generale collegata alle mansioni svolte, l’art. 2396 c.c. non è interpretabile estensivamente o analogicamente e, quindi, non è applicabile ad ipotesi diverse da quella del direttore generale formalmente nominato. Fa eccezione l’ipotesi in cui il soggetto apicale, privo dei requisiti formali richiesti, sia qualificabile come amministratore di fatto (Cass. 18 novembre 2015, n. 23630; Cass. 5 dicembre 2008, n. 28819): in questo caso l’azione di responsabilità nei suoi confronti è ugualmente esperibile secondo il rito societario di cui al d. lgs. n. 5/2003.
Questo non significa però che la delibera di nomina comporti sempre e comunque la competenza del Tribunale delle Imprese; occorre tener conto infatti che l’art. 2396 c.c. fa “salve le azioni esercitabili in base al rapporto di lavoro con la società”.
Pertanto, considerato che la valutazione della competenza è da effettuarsi alla stregua della domanda e dei fatti costitutivi come in essa allegati, se la responsabilità del direttore generale è stata prospettata sotto il profilo delle inadempienze poste in essere nello svolgimento delle sue mansioni, ossia nell’ambito del rapporto di lavoro, la relativa azione non va proposta alla sezione specializzata del Tribunale delle imprese, ma al giudice del lavoro (Cass. 3 luglio 2018, n. 17309), in quanto la controversia non rientra tra quelle relative i rapporti societari di cui all’art. 3, co. 2, lett. a) del d.lgs. n. 168/2003, come modificato dal d.l. n. 1/2012.
In conclusione, al fine di individuare la competenza a decidere sulla responsabilità dei direttori generali è necessario distinguere a seconda che si contestino inadempimenti riferibili al rapporto subordinato, parasubordinato o d’opera instaurato con il soggetto apicale, ovvero condotte relative al rapporto societario, suscettibili queste di vincolare la società nei confronti dei terzi in virtù dell’immedesimazione organica tra la persona fisica e l’ente che caratterizza il rapporto stesso: nel primo caso la controversia sarà attratta al rito ordinario del lavoro, mentre nel secondo a quello speciale di cui al d.lgs. 5/2003 con competenza del Tribunale delle Imprese.