Direttiva UE n. 1023/2019 sulla ristrutturazione preventiva, esdebitazione ed insolvenza: prime valutazioni

Il 20 giugno 2019 ha visto la luce la Direttiva (UE) n. 2019/1023 del Parlamento europeo e del Consiglio avente ad oggetto i quadri di ristrutturazione preventiva, l’esdebitazione e le interdizioni nonché le misure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione.

SOMMARIO: 1. Premessa – 2. Elementi distintivi delle nuove regole: allerta precoce e accesso alle informazioni – 3. (segue) Quadri di ristrutturazione preventiva – 4. (segue) Obblighi degli Amministratori – 5. (segue) La seconda opportunità: l’esdebitazione – 6. (segue) Le misure per aumentare l’efficienza delle procedure – 7. Conclusioni: il confronto con la nostra riforma del Codice della Crisi e dell’Insolvenza

1. Premessa
Il 20 giugno 2019 ha visto la luce la Direttiva (UE) n. 2019/1023 del Parlamento europeo e del Consiglio (di seguito, solo “la Direttiva”) avente ad oggetto i quadri di ristrutturazione preventiva, l’esdebitazione e le interdizioni nonché le misure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione.
La Direttiva è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea n. L 172 del 26 giugno 2019 ed entrerà in vigore il 17/07/2021; entro tale data gli Stati membri saranno tenuti ad adottare le disposizioni necessarie per conformarsi alle disposizioni ivi esposte, salvo alcune disposizioni per le quali è previsto un termine di recepimento più lungo.
L’obiettivo generale della Direttiva è quello di garantire nel territorio comunitario un’armonizzazione minima delle regole in materia di ristrutturazione e insolvenza, al fine di favorire la piena realizzazione del Mercato Unico e di affermare a livello europeo la cultura della prevenzione e del salvataggio dell’impresa in crisi, nonché quella di concedere una seconda opportunità per il debitore che abbia registrato un insuccesso economico.

Come evidenziato dai “Considerando 12 e 13”, la Direttiva si affianca al regolamento (UE) n. 2015/848, che disciplina la competenza, il riconoscimento, l’esecuzione, la legge applicabile e la cooperazione nelle procedure di insolvenza transfrontaliere, nonché l’interconnessione dei registri fallimentari, ma non si occupa delle disparità esistenti tra le norme nazionali che regolano le procedure di prevenzione.
La Direttiva, quindi, non mina l’ambito di applicazione del regolamento (UE) 2015/848, ma mira ad una piena compatibilità con esso, facendo obbligo agli Stati membri di predisporre procedure di ristrutturazione preventiva che rispettino alcuni principi minimi di efficacia.
Il pensiero economico (e politico) che ha alimentato questo intervento comunitario sorge sulla base dell’osservazione che gli scambi economici intercomunitari sono di gran lunga la maggioranza mentre le imprese puramente nazionali sono pochissime se si considerano aspetti quali la clientela, la catena degli approvvigionamenti, la portata delle attività, gli investitori e la base del capitale.
Il riflesso è che le conseguenze dell’insolvenza si ripercuotono immediatamente sui mercati globali disincentivando l’espansione degli investimenti transfrontalieri.
Molti investitori, o semplici fornitori sono infatti allarmati dalle conseguenze dell’insolvenza in un paese transfrontaliero per le difficoltà e i costi a cui debbono andare incontro per il recupero del loro credito.
Un sistema europeo uniforme orientato all’incentivazione della prevenzione della crisi aumenta la certezza giuridica per gli investitori ed incoraggia la ristrutturazione precoce delle imprese economicamente sostenibili in difficoltà finanziarie.
Oggi in Europa il 50% delle imprese ha una vita inferiore a 5 anni e il numero delle insolvenze, sebbene lontano dai picchi del 2009, ha ancora cifre elevate; un caso di insolvenza su quattro è transfrontaliero ossia coinvolge creditori e debitori in più di uno stato membro dell’U.E. (fonte: “Relazione sulla Proposta di direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, la seconda opportunità e misure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza e liberazione dai debiti, e che modifica la direttiva 2012/30/UE”, Strasburgo 22/11/2016 COM (2016) 723).

Si è osservato inoltre che i tassi di recupero nell’U.E. variano tra ì il 30% della Croazia e Romania e il 90% del Belgio e Finlandia; i tassi di recupero sono più elevati nelle economie in cui la ristrutturazione è la procedura di insolenza più diffusa. In media, in questo tipo di economie, i creditori possono attendersi di recuperare l’83% dei loro crediti contro una media del 57% nelle procedure di liquidazione.
Una riforma globale recepita da tutti i paesi dell’U.E. volta all’incentivazione della ristrutturazione e alla prevenzione dell’insolvenza avrebbe anche un riflesso favorevole sul sistema del credito alle imprese e di conseguenza sul tasso di interesse loro applicato.
La posta su cui scommette la riforma è quella di barattare la sottrazione di una parte di sovranità dell’imprenditore onesto a fronte della rimozione dell’esecrazione delle conseguenze dell’insolvenza; l’imprenditore è dipinto come un soggetto che attraverso l’impresa cerca di arricchire non solo se stesso ma, in un mondo etico, anche il contesto sociale nel quale opera, con la conseguenza che non appena il conto economico dell’attività non presenta più saldo positivo, rischiando di arrecare danno alle frange più deboli dei creditori, dovrà correttamente informare il mercato degli stakeholders e verificare insieme a loro se e come tentare una ristrutturazione a vantaggio della collettività, senza demonizzazioni per l’insuccesso.
Passando all’esame del testo si può osservare che, come tutte le direttive, quella ora in esame impone un’armonizzazione di base, lasciando spazio agli Stati di adottare misure ulteriori, purché in linea con le finalità individuate.
Va subito evidenziato che il nostro “Codice della Crisi e dell’Insolvenza” (di seguito, solo: “il Codice” o “CCI”) di cui al D. Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14 contiene al suo interno alcune norme che già si conformano ai principi dettati dal Legislatore europeo. Si pensi, per esempio, all’introduzione nel nostro Ordinamento degli strumenti di allerta in grado di individuare un andamento degenerativo dell’impresa e di prevenire la crisi intervenendo in una fase embrionale. Peraltro, è evidente che per raggiungere la piena attuazione dei principi dettati dalla Direttiva saranno necessari interventi correttivi al Codice volti ad introdurre le disposizioni prescritte nella Direttiva ed eliminare quanto incompatibile.

In termini generali, la Direttiva si compone di tre parti principali, aventi ad oggetto:
a) i quadri di ristrutturazione preventiva e strumenti di allerta precoce per il debitore che versa in difficoltà finanziarie e per il quale sussiste una probabilità di insolvenza, al fine di prevenirla e di garantire la sostenibilità economica del debitore (sul punto è assai probabile che in Italia non saranno necessari interventi correttivi, dato che il Codice già prevede procedure con queste finalità, quali il concordato preventivo, la ristrutturazione dei debiti e la composizione assistita della crisi);
b) le procedure che portano all’esdebitazione dai debiti contratti dall’imprenditore insolvente;
c) le misure per aumentare l’efficienza delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione.
Dall’ambito di applicazione della Direttiva sono escluse le imprese di assicurazione o riassicurazione, gli enti finanziari e creditizi, le imprese di investimento o gli organismi di investimento collettivo, le controparti centrali e i depositi centrali di titoli, gli enti pubblici ai sensi del diritto nazionale e la persona fisica che non sia imprenditore (per “imprenditore” si intende: la “persona fisica che esercita un’attività commerciale, imprenditoriale, artigianale o professionale” – art 2: Definizioni).

2. Elementi distintivi delle nuove regole: allerta precoce e accesso alle informazioni
La Direttiva, prima di delineare il quadro dei principi e delle regole della ristrutturazione, impone agli Stati membri di introdurre strumenti chiari e trasparenti finalizzati ad individuare tempestivamente situazioni che possano comportare una probabilità di insolvenza e a segnalare al debitore la necessità di agire senza indugio.

Tali strumenti possono consistere in:

a) strumenti di allerta nel momento in cui il debitore non abbia effettuato determinati pagamenti;
b) servizi di consulenza forniti da organizzazioni pubbliche o private;
c) incentivi finalizzati a segnalare al debitore la precarietà finanziaria, rivolti a soggetti terzi in possesso di informazioni rilevanti sul debitore (i contabili, le autorità fiscali e di sicurezza sociale).
Gli Stati membri devono mettere il debitore ed i rappresentanti dei lavoratori in grado di avere facile e agevole accesso alle informazioni aggiornate sugli strumenti di allerta disponibili, nonché sulle procedure utilizzabili per ristrutturare l’impresa o per ottenere la liberazione dai debiti residui dopo la conclusione di una procedura.

3. (segue) Quadri di ristrutturazione preventiva
Gli Stati membri devono introdurre regole volte a garantire all’imprenditore che si trovi in prossimità dell’insolvenza (probabilità di insolvenza) la possibilità di accedere a una o più procedure o anche soltanto a misure idonee che gli consentano di ristrutturare i propri debiti o la propria attività, al fine di impedire l’insolvenza e di assicurare la sostenibilità economica, così da tutelare i posti di lavoro e l’attività imprenditoriale.

A tal fine, sono introdotti i seguenti principi:

– le procedure di ristrutturazione preventiva possono essere aperte soltanto su istanza del debitore, salva la facoltà per gli Stati membri di consentire l’accesso ad esse anche su richiesta dei creditori e dei rappresentanti dei lavoratori purché vi sia l’accordo del debitore;
– gli Stati membri possono limitare l’intervento del giudice o dell’autorità amministrativa ai soli casi in cui esso sia proporzionato e necessario per la tutela dei diversi interessi coinvolti;
– non è sempre necessario un provvedimento formale di apertura della procedura, né l’omologa di un piano di ristrutturazione da parte del tribunale, salvo il caso in cui questo incida sugli interessi delle parti dissenzienti, preveda l’erogazione di nuova finanza oppure comporti la perdita di più del 25% della forza lavoro.

La Direttiva non si limita però a dettare una serie di principi generali, ma arriva anche a disciplinare in modo puntuale contenuto ed effetti delle procedure, richiedendo agli Stati Membri di assicurare, fra l’altro, quanto segue:

– nel corso delle procedure di ristrutturazione il debitore deve poter mantenere il totale o almeno parziale controllo sull’esercizio della attività e dei suoi attivi.
– Non sempre è necessaria la nomina di un professionista che supervisioni l’attività del debitori o segua le trattative con i creditori. Tale figura è richiesta solo in circostanze specifiche, ossia: quando vi sia il blocco delle azioni esecutive concesso dall’autorità; quando il piano deve essere omologato da un’autorità giudiziaria o amministrativa; quando la nomina venga richiesta dal medesimo debitore o dalla maggioranza dei creditori, che si facciano carico del costo del professionista.
– Per agevolare le trattative con i creditori deve essere garantito il blocco delle azioni esecutive individuali relative a tutti i tipi di crediti per un periodo di tempo non superiore a 4 mesi, rinnovabile e prorogabile fino a un massimo di dodici mesi. Tale blocco può peraltro riguardare anche solo specifiche categorie di creditori, che devono però essere stati informati delle trattative. Il Giudice ha sempre la facoltà di revocare il blocco prima della scadenza quando vi sia pregiudizio per i creditori o quando lo richieda un numero di creditori sufficiente per poter impedire l’approvazione del piano.
– Durante lo stesso periodo, i creditori non possono chiedere l’apertura della procedura di insolvenza.
Parimenti, i creditori cui si applica la sospensione non possono rifiutare l’adempimento dei contratti pendenti essenziali, o di risolverli, anticiparne la scadenza o modificarli in altro modo a danno del debitore, in relazione ai debiti sorti prima della sospensione, per la sola ragione di non essere stati pagati dal debitore. Eventuali clausole contrarie contenute nei contratti sono prive di effetto.
– La Direttiva precisa le informazioni ed i dati che non possono mai mancare nel piano di ristrutturazione ed impone agli Stati membri di rendere disponibile online una lista di controllo particolareggiata per i piani di ristrutturazione, adeguata alle esigenze delle PMI. La lista di controllo include indicazioni pratiche su come deve essere redatto il piano di ristrutturazione a norma del diritto nazionale.
– I Piani di ristrutturazione possono essere presentati sia dal debitore che dai creditori e dai professionisti nel campo della ristrutturazione.
– Occorre sempre dividere i creditori in classi, quanto meno per differenziare i privilegiati dai chirografari. I diritti dei lavoratori possono essere trattati in una specifica classe distinta. Peraltro tali
obblighi di differenziazione per classi divengono più sfumati per le Pmi, che possono derogarvi.
Inoltre, i creditori garantiti che votano non perdono ì automaticamente le prelazioni di cui essi godono in forza della garanzia. Il diritto di voto deve essere sempre riconosciuto ad ogni creditore pregiudicato dal piano di ristrutturazione.
– Viene introdotta la deroga al principio della priorità assoluta nella soddisfazione dei creditori. Infatti, è possibile assegnare ai privilegi soddisfazione parziale, purché superiore rispetto ai crediti di rango inferiore, con il risultato di rendere più flessibili, a parità di disponibilità, piani e proposte perlomeno nel quadro delle procedure concorsuali.

L’autorità giudiziaria, su istanza del debitore o con l’accordo del debitore, ha sempre il diritto di superare l’eventuale voto dissenziente, quando:
a) il piano abbia riportato il voto favorevole della maggioranza delle classi o di almeno una classe destinataria comunque di pagamenti anche in caso di liquidazione;
b) ciascuna classe dissenziente riceva un trattamento favorevole tanto quanto quello delle classi dello stesso rango e più favorevole rispetto a quello previsto in favore delle classi inferiori. In deroga a tale condizione, gli Stati Membri possono prevedere che ciascuna classe dissenziente sia soddisfatta completamente prima che la classe cui appartengono creditori di grado inferiore possa partecipare alla distribuzione.

– I soci non devono poter pregiudicare irragionevolmente l’adozione e l’implementazione di un piano di ristrutturazione. Viene peraltro lasciato agli Stati Membri il compito di fornire la definizione di tale fattispecie.
– I nuovi finanziamenti, siano essi intesi come finanza interinale o come finanza in esecuzione di un piano approvato, devono essere protetti dalle azioni revocatorie.
– La Direttiva contiene anche una norma sui diritti dei lavoratori, obbligando gli Stati a garantire che la procedura di ristrutturazione preventiva non abbia ripercussioni sui diritti dei lavoratori come, ad
esempio, il diritto alla negoziazione collettiva. Inoltre la sospensione delle azioni esecutive individuali, non si applica ai diritti dei lavoratori, a meno che nello strumento di ristrutturazione preventiva adottato dal debitore non godano di analoga tutela.

4. (segue) Obblighi degli Amministratori
La Direttiva introduce delle disposizioni specifiche sugli obblighi dei dirigenti d’azienda nelle procedure d’insolvenza. Tali disposizioni prevedono il loro obbligo di minimizzare le perdite per creditori, soci, lavoratori e stakeholders e di salvaguardarne gli interessi, nonché quello di adottare le soluzioni necessarie per evitare l’insolvenza e di evitare condotte negligenti che possano minacciare la continuità dell’impresa. Si tratta quindi di uno nuovo specifico dovere di attivarsi subito con misure idonee, non attendendo l’insolvenza vera e propria, ma appena la crisi diventa tale da far presagire l’insolvenza come esito probabile.

5. (segue) La seconda opportunità: l’esdebitazione
La Direttiva appare espressione della scelta politica di agevolare per quanto possibile la prosecuzione dell’impresa esistente e garantire una seconda chance all’imprenditore che abbia subìto una procedura di insolvenza, seppur a costo di un parziale sacrificio per i creditori. A tal fine gli Stati membri dovranno fare in modo che gli imprenditori persone fisiche possano essere liberati dai debiti che eventualmente residuano dopo una procedura di insolvenza o di ristrutturazione entro tre anni dall’apertura della procedura (o dalla data in cui ha inizio l’esecuzione del piano di ristrutturazione) e senza che sia necessaria un’istanza all’autorità giudiziaria o amministrativa.
I Paesi che vincolano l’esdebitazione al pagamento parziale dei debiti devono commisurare tale pagamento parziale alla situazione individuale del debitore e al suo reddito disponibile nel periodo che precede l’esdebitazione.

Ferma restando la necessità di garantire il rispetto di tali principi gli Stati membri possono mantenere o introdurre previsioni che limitino l’accesso a tale beneficio al verificarsi di determinate circostanze (frode, abusi, ripetuti accessi all’esdebitazione, mancato adempimento di piani di ristrutturazione), o prevedano tempi più lunghi per ottenerlo (nel caso in cui la casa di residenza del debitore sia stata esclusa dalla liquidazione).
Gli Stati membri possono escludere dall’esdebitazione alcune categorie specifiche di debiti o limitare l’accesso all’esdebitazione o stabilire termini più lunghi per l’esdebitazione, qualora tali esclusionilimitazioni o termini più lunghi siano debitamente giustificati (per esempio, nel caso di debiti garantiti, derivanti da responsabilità extracontrattuale).
Infine, deve essere assicurato che con l’esdebitazione decada anche ogni eventuale limite, interdizione o incapacità a svolgere un’attività commerciale, industriale, artigianale o professionale.

6. (segue) Le misure per aumentare l’efficienza delle procedure
Viene previsto l’obbligo generale per gli Stati membri di adottare tutte le misure idonee a garantire un adeguato livello di formazione e di professionalità per coloro che sono chiamati ad operare nell’ambito di procedure concorsuali. Con riferimento all’autorità giudiziaria, la Direttiva stabilisce che gli Stati Membri prevedano giudici dotati di adeguate competenze o di sezioni specializzate che operino all’interno di Tribunali più grandi, senza quindi richiedere però una competenza esclusiva in materia di ristrutturazione e insolvenza. Gli Stati Membri devono poi prevedere l’introduzione di mezzi di comunicazione a distanza e
di strumenti elettronici per i principali adempimenti cui sono tenuti i diversi soggetti coinvolti nelle procedure. Infine, la Direttiva richiede che vi sia un costante obbligo di monitoraggio delle procedure in capo ai singoli ordinamenti, per poter acquisire dati utili a valutare gli effetti della direttiva nel tempo.

7. Conclusioni: il confronto con la nostra riforma del Codice della Crisi e dell’Insolvenza
Poiché la Direttiva entrerà in vigore a due anni dalla sua pubblicazione mentre il Codice della Crisi di cui al D.Lgs. 14/19 e dell’insolvenza, varato il 12/01/2019 sarà effettivo a partire dal 14/08/2020, e poiché in data 08/03/2019 è stata approvata la L. 20/2019 che conferisce al Governo la delega per l’adozione di disposizioni integrative e correttive del D.Lgs. 14/19 attuativo della delega per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza di cui alla L. 19/10/17 n. 155, è interessante capire quali saranno le aree del Codice della Crisi che ragionevolmente, prima ancora della sua applicazione, dovranno essere riformate alla luce della direttiva. Buona parte delle raccomandazioni contenute nella Direttiva trovano già recepimento nel Codice della Crisi, soprattutto con riferimento alle procedure di allerta e alla previsione di strumenti utili alla rilevazione anticipata della crisi anche attraverso il coinvolgimento di soggetti terzi.
Un aspetto invece che pare registrare ancora una distanza rispetto alla Direttiva (ed anche un arretramento rispetto all’attuale legge fallimentare) è quello della incentivazione del creditore verso una condotta orientata ad aiutare l’impresa in difficoltà sanzionando ipotesi di abbandono della collaborazione commerciale ai più diversi livelli (interruzione delle forniture, rientro immediato dai finanziamenti).
Nella legge attuale (R.D. 267/1942) l’art. 186-bis prevede il divieto di risoluzione per i contratti in corso di esecuzione mentre nella versione riformata del concordato preventivo, l’art. 97 CCI stabilisce che i rapporti pendenti “proseguono anche durante il concordato”, espressione ambigua per il cui ottemperamento non credo sia sufficiente l’obbligo, pure previsto in capo ai creditori dall’art. 3 CCI, di “collaborare lealmente con il debitore”.

Un punto di assai maggior importanza che segna la distanza tra la nostra giovane riforma e le indicazioni della Direttiva è quello del ridimensionamento degli effetti delle prelazioni, nel senso che secondo il nostro ordinamento, il creditore di grado inferiore può essere soddisfatto solo dopo l’integrale soddisfacimento di quello che occupa il grado superiore, mentre la Direttiva suggerisce un criterio per cui il portatore di un grado di privilegio debba essere soddisfatto in misura superiore rispetto a quello di grado inferiore ma non necessariamente in termini assoluti, favorendo così una migliore ripartizione delle utilità derivanti dalla ristrutturazione aziendale soprattutto a vantaggio dei fornitori che spesso a causa dell’insolvenza altrui corrono forti rischi di riflettere anche sul proprio bilancio le conseguenze della crisi.
In un mondo globalizzato in cui l’imprenditore ha sempre meno il controllo sulla clientela a volte lontana, la pretesa che il fornitore sia l’unica figura su cui ricada il rischio dell’altrui insolvenza risulta sempre meno giustificato soprattutto in quanto non sempre la riscossione dei crediti riesce ad essere assicurata in particolar modo verso quei paesi dell’U.E. nei quali il recupero risulta complesso.
Infine un punto su cui il nostro legislatore dovrà intervenire è quello relativo alla classazione obbligatoria dei creditori che il codice della Crisi, pur operando un passo in avanti rispetto al presente, ha ristretto ai debiti fiscali in caso di incompleta soddisfazione e ai creditori titolari di garanzie prestate da terzi (cfr. art. 85 CCI).
Nel passato la giurisprudenza aveva tentato di sostenere l’obbligatorietà delle classi nel concordato preventivo allo scopo di assicurare alla proposta la necessaria trasparenza, evitando la commistione di interessi disomogenei quali quelli di creditori muniti di garanzie di terzi o di privilegiati declassati a chirografari per la parte incapiente del loro credito (Cfr. Trib. Monza 27/11/2009; Trib. Milano 04/12/2008); tuttavia sul punto è giunta la netta smentita (addirittura) della Corte Costituzionale (ord. 12/03/2010 n. 98), secondo cui il debitore è libero di avanzare una proposta di concordato senza classi senza che perciò la circostanza costituisca motivo di inammissibilità od invito alla correzione.
Ora invece l’invito ad orientare la legislazione relativa alla Crisi e all’insolvenza verso l’obbligatorietà delle classi deriva dal superiore indirizzo dell’U.E. di stemperare la rigidità dei privilegi estendendo, come contropartita, il diritto di voto a tutti coloro i cui diritti vengono trattati dalle procedure di ristrutturazione.

In conclusione, la pubblicazione della Direttiva comunitaria lascia intravedere un futuro ancora incerto per l’applicazione delle regole recepite nel Codice della Crisi, a meno che il legislatore riesca ad impiegare l’anno che ancora lo separa dalla entrata in vigore per apportare queste importanti modifiche (più che ritocchi) volte ad incidere in termini rilevanti sull’impianto del nostro ordinamento del quale i privilegi sono un riferimento rimasto finora indiscusso.

avv.ti Gianfranco Benvenuto e Stefano Meani


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