È distrazione la sottrazione di patrimonio operata in epoca risalente rispetto all’insolvenza

A cura dell’avv. Gianfranco Benvenuto. Alla stesura del contributo ha partecipato l’avv. Giulia Greco..

Cass. pen sez V sent. n. 26115 del 03/07/2024

Massima
Ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale non è necessaria l’esistenza di un nesso causale tra i fatti oggetto di distrazione ed il successivo fallimento, essendo sufficiente che l’agente abbia cagionato il depauperamento dell’impresa destinando le risorse sociali ad impieghi estranei alla sua attività.

La Cassazione con la sentenza evidenziata ritorna sul tema della distrazione mettendo in evidenza l’indifferenza della stretta causalità tra il depauperamento aziendale e il successivo fallimento.

Nel caso concreto è stata posta allo scrutinio della Suprema Corte il trasferimento di immobili dalla società -poi fallita- ad altra riconducibile al figlio dell’imputato; sebbene le operazioni immobiliari fossero avvenute dieci anni prima del fallimento, quando la società era in bonis e disponeva della liquidità finanziaria che non lasciava presagire il successivo fallimento, ciò non ha impedito di qualificare gli atti dispositivi in termini fraudolenti.

Il quaestio iuris è pertanto se il compimento di atti di per sé legittimi (cessione di beni immobili), da parte di società in bonis e neanche in crisi, possano assumere rilevanza penale a seguito della declaratoria di fallimento ove rappresentino una perdita ingiustificata del patrimonio o comunque abbiano natura distrattiva.

Nel rispondere, la Suprema Corte richiama con chiarezza i tratti essenziali del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui all’art. 216 l. fall., oggi riportato senza significative variazioni nell’art. 322 ccii, affermando che la norma si propone in primis di punire l’elusione del patrimonio ove l’agente abbia cagionato il depauperamento dell’impresa destinando le risorse patrimoniali a finalità estranee all’attività; tale condotta può considerarsi penalmente rilevante anche ove gli atti distrattivi fossero stati commessi quando ancora la società non versava in condizioni di insolvenza, non essendo peraltro necessario l’esistenza di un nesso causale tra i fatti distrattivi, in qualsiasi momento commessi, e il successivo fallimento (la pronuncia in commento richiama sul punto altro autorevole precedente: Sez. Un. n. 22474 del 31/03/2016).

L’apertura del fallimento, oggi liquidazione giudiziale, pertanto, determina unicamente la rilevanza penale della distrazione, se pur commessa quando la società era in bonis, e ciò in quanto trattasi comunque di condotte offensive degli interessi dei creditori che a seguito della declaratoria di fallimento vengono irrimediabilmente compromessi.

Con riguardo invece all’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta questo è costituito dal dolo generico essendo sufficiente in capo all’agente la volontà di dare al patrimonio sociale una diversa destinazione rispetto a quella di fungere da garanzia per le obbligazioni contratte dalla società (Cass. SS UU n. 22474/2016).

Spunti interessanti all’analisi del reato di bancarotta fraudolenta giungono poi dalle dinamiche dei rapporti infragruppo rispetto ai quali giova ricordare che mentre il cd cash pooling, che ricorre quando le società che fanno parte dello stesso gruppo con un atto negoziale sottoscritto da ciascuna di esse accentrano in capo ad un unico soggetto giuridico le gestione delle risorse finanziarie del gruppo, non necessariamente costituisce un atto distrattivo a condizione che siano stati formalizzati e regolamentati i conseguenti rapporti giuridici ed economici interni al gruppo (Cass. n. 34457/2018) attraverso specifiche delibere dei consigli di amministrazione delle società interessate (Cass. n. 39139/2023) da cui emergano specifici benefici derivanti dal far parte del gruppo per la società apparentemente “depredata”; diversamente, “il passaggio di risorse da società all’altra, anche facente parte dello stesso gruppo, deve essere qualificato come distrazione rilevante in presenza di una situazione conclamata di sofferenza della società deprivata quando non vi sia garanzia di restituzione dei valori trasferiti e al di fuori di un credibile programma di riassestamento del gruppo, rivolto a superare, prioritariamente, le problematiche dell’ente in sofferenza” (Cass. 23910/2024; Cass. 22860/2019; Cass. 51473/2019).

Può pertanto concludersi che anche operazioni isolatamente considerate dannose per la società in sofferenza potrebbero da ultimo rivelarsi lecite solo e unicamente ove emerga che tali accordi siano da ricondursi all’interno della logica di cd vantaggi compensativi propria dell’operatività di un gruppo di imprese, trovando giustificazione nei vantaggi che la medesima società riceve da scelte gestionali poste in essere a suo beneficio da altri enti del medesimo gruppo o dalla holding che dirige il raggruppamento di imprese; costituirà invece una fattispecie di bancarotta fraudolenta commessa dagli amministratori delle società appartenenti al medesimo gruppo il se pur legittimo esercizio di facoltà proprie dell’organo gestorio in cui tuttavia si riconoscano gli estremi di uno strumento di frode in danno dei creditori stante la fuoriuscita di beni appartenenti al patrimonio del fallito che ne abbiano impedito l’apprensione da parte degli organi della procedura.


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