Esdebitazione, debitori esclusi
La condizione per escludere il debitore dal beneficio dell’esdebitazione, una volta che ne sia stata accertata la meritevolezza, declinata nel rispetto dei requisiti indicati al comma I dell’art 142 l. fall., è che i creditori siano rimasti totalmente insoddisfatti o soddisfatti in percentuale affatto irrisoria.
Lo afferma la Cassazione con la sentenza n. 7550 pubblicata il 27/03/2018 che pone precisi paletti sulla questione, socialmente rilevante, della esdebitazione dell’imprenditore o socio illimitatamente responsabile coinvolto in fallimento.
La Cassazione afferma che la condizione per escludere il debitore dal beneficio dell’esdebitazione, una volta che ne sia stata accertatane la meritevolezza, declinata nel rispetto dei requisiti indicati al comma 1 dell’art 142 l. fall., è che i creditori siano rimasti totalmente insoddisfatti o soddisfatti in percentuale affatto irrisoria.
Nel caso concreto, il ceto dei creditori privilegiati era stato soddisfatto in parte mentre nessun riparto era stato possibile a favore del ceto chirografario.
La pronuncia di Cassazione si pone a conclusione di un percorso particolarmente tortuoso avviato dal debitore, socio illimitatamente responsabile di una s.a.s. fallita, al quale, sebbene gli fosse stato riconosciuto il requisito della meritevolezza, ravvisata nella condotta collaborativa con gli organi della procedura e ancorchè gli fosse stata riconosciuta l’assenza di responsabilità nell’aggravio del dissesto della società, il giudice di merito, in primo ed in secondo grado, gli aveva rifiutato l’esdebitazione sull’assunto che il requisito oggettivo si riteneva integrato solo dall’avvenuto parziale soddisfacimento di tutte le categorie di creditori.
I provvedimenti di merito erano stati impugnati di fronte alla S.C. di Cassazione che, ravvisatane la rilevanza, aveva ritenuto opportuno decidere a Sezioni Unite con la sentenza n 24214 del 6/12/2011 con cui stabiliva che il requisito oggettivo del soddisfacimento si doveva considerare integrato considerando il ceto creditorio nel sul complesso e quindi anche se una quota di creditori non avesse ricevuto alcun pagamento.
La Corte d’Appello di Milano a cui la causa era stata rinviata per la decisione definitiva in ossequio al principio di diritto monofilattico espresso dalla Cassazione, tuttavia ancora una volta respingeva la domanda esdebitatoria del debitore individuando nella misura del 30% la soglia minima sotto la quale non si potesse considerare integrato il soddisfacimento al ceto creditorio anche complessivamente considerato.
Con la pronuncia del 27 marzo la Cassazione ripercorre la motivazione delle Sezioni Unite del 2011 ritenendo che la Corte d’Appello di Milano non ne abbia dato una corretta applicazione sia in quanto la Suprema Corte aveva chiarito il favor debitoris della legge volta a permettere l’esdebitazione nei casi in cui la condotta del debitore, anche precedente al fallimento, non avesse rivelato alcuna responsabilità riguardo all’aggravamento del dissesto, sia in quanto la soglia del 30% indicata dalla Corte d’Appello di Milano come quota minima per il conseguimento dell’esdebitazione è assolutamente arbitraria dovendo invece rapportarsi alla condotta del debitore prima e durante la procedura di fallimento.
La pronuncia in questione non può non espandere i propri effetti anche sulla procedura di sovraindebitamento di cui alla Legge 3/2012 rispetto alla quale i criteri per l’ottenimento dell’esdebitazione in caso di liquidazione del patrimonio sono assolutamente sovrapponibili a quelli richiesti dall’art 143 l.f. con incremento delle aspettative dell’indebitato civile od imprenditore non fallibile che nell’avviare la procedura di sovraindebitamento ripone nell’obiettivo dell’esdebitazione tutte le proprie aspettative per ricominciare una vita economicamente più ordinata e sottratta dalle pressioni dei creditori.