Gutta cavat lapidem: il nuovo trattamento del credito Leasing nel fallimento

a cura dell’avv.to Gianfranco Benvenuto

La Cassazione con la rivoluzionaria sentenza n 8980 il 29 marzo 2019 ha tracciato una nuova linea interpretativa sul fronte del trattamento del credito del concedente un bene in leasing risolto per inadempimento dell’utilizzatore ante fallimento.

Come noto l’art 72 quater l. fall. ha introdotto una disciplina unitaria del leasing improntata alla causa del contratto di finanziamento che non tiene più conto della distinzione tra leasing traslativo e leasing di godimento; tuttavia questa nuova disciplina trova applicazione solo nel caso del contratto sciolto dal curatore successivamente alla dichiarazione di fallimento.

Per i contratti risolti per inadempimento dell’utilizzatore anteriormente al fallimento la giurisprudenza ha sempre ritenuto sussistere la differenziazione tracciata dalla stessa Cassazione, tra leasing di godimento e leasing traslativo, ritenendo applicabile al primo, in caso di risoluzione, l’art 1458 c.c. e al secondo l’art 1526 c.c. (Cass Sez.Un. n 65/1993).

Le società di leasing hanno incessantemente continuato ad invocare l’applicazione dell’art 72 quater l. fall. anche ai casi di risoluzione anteriori al fallimento, scontrandosi però sempre contro un orientamento granitico della Cassazione, indifferente del fatto che alcuni tribunali (Trib Padova 14/04/2014; Trib Treviso 06/05/2011; Trib Perugia 05/06/2012; Trib Vicenza 18/09/2012, Trib Udine 10/02/2012) avessero nel passato tentato di sostenere che la sostanziale identità di effetti tra le due ipotesi meritasse un trattamento identico fondato sull’art 72 quater l. fall. che già disciplina la tematica dello scioglimento del contratto di leasing.

L’orientamento della Cassazione si è mostrato indifferente anche alla novità introdotta con la L 124/2017 che ai commi da 136 a 140 dell’articolo unico ha disciplinato, per il futuro, il contratto di leasing attribuendogli (per la prima volta) una definizione e regole per il caso di risoluzione del contratto al fine di evitare che una delle due possa ricavare dalla risoluzione più di quanto avrebbe ricevuto in caso di esecuzione fisiologica del rapporto.

La disciplina della L 124/2017 si ispira a quella adottata dal legislatore fallimentare migliorandola attraverso la previsione di cessioni con procedure competitive volte ad evitare che la “svendita” del bene recuperato danneggi il contraente moroso tenuto comunque a rifondere il danno del concedente nella misura pari alla somma delle rate scadute e a scadere in linea capitale al netto del ricavato dalla vendita del bene.

Infine le società di Leasing hanno cercato di eludere l’applicazione dell’art 1526 c.c. attraverso l’introduzione nei contratti di una clausola “c.d. di deduzione” prossima al meccanismo di cui all’art 72 quater l. fall. per effetto della quale deve essere riconosciuta al concedente la somma dei canoni scaduti e a scadere nonché del prezzo del riscatto decurtato del prezzo di riallocazione del bene.

La Cassazione ha tuttavia respinto queste clausole tacciandole di nullità: “per contrarietà all’ordine pubblico economico e alla previsione dell’art 1526 c.c. applicabile in via analogica a tutti i casi di risoluzione anticipata del contratto anteriormente alla dichiarazione di fallimento dell’utilizzatore” (Cfr Cass 15/09/2017 n 21476; Cass. 28/02/2018 n 4698 e la recente Cass 31/10/2018 n 27935).

Giunge dunque come un fulmine a cel sereno la sentenza di Cass. n.8980/2019 che al contrario pronuncia il seguente principio di diritto: “gli effetti della risoluzione del contratto di leasing finanziario per inadempimento dell’utilizzatore verificatasi in data anteriore alla data di entrata in vigore della legge 124/2017 sono regolati dalla disciplina dell’art72 quater l. fall. applicabile anche al caso di risoluzione del contratto avvenuta prima della dichiarazione di fallimento dell’utilizzatore”.

Il revirement del S.C. è stato ritenuto opportuno non già in ragione del carattere retroattivo della nuova disciplina della L 124/2017 non applicabile per effetto del principio “tempus regit actum”, ma dalla necessità di “fare concreta applicazione della c.d. interpretazione storico-evolutiva secondo cui una determinata fattispecie negoziale per quegli aspetti che non abbiano esaurito i loro effetti non può che essere valutata sulla base dell’ordinamento vigente posto che l’attività ermeneutica non può dispiegarsi “ora per allora” ma all’attualità”.

La sentenza coglie anche l’occasione per correggere alcune storture introdotte con un eccesso di rigidità interpretativa con le precedenti pronunce di Cassazione n.17577/2015 e n.21213/2017 con le quali il S.C. affermava che il credito del concedente verso il fallimento fosse segmentabile in due momenti di cui il primo, afferente il credito scaduto, insinuabile tempestivamente mentre il secondo, riferito al credito a scadere, da insinuare tardivamente in quanto eventuale.

Nella recente sentenza invece la Cassazione afferma che il credito complessivo del concedente può essere fatto valere tutto in un unico momento previa stima del valore di mercato del bene disposto dal G. Delegato in sede di accertamento del passivo.

Eventuali rettifiche sulla base di quanto effettivamente realizzato dalla vendita del bene potranno poi essere fatte valere in sede di riparto.


potrebbero interessarti

L’assetto legislativo in tema di modifica unilaterale dei contratti bancari
Il Falso in bilancio