Il ricorso in Cassazione nel Sovraindebitamento: l’aporia tra presente e futuro
Sul finire del 2019 la Cassazione si è pronunciata due volte, a distanza di meno di due mesi, su tematiche di sovraindebitamento per dare agli operatori orientamenti su questioni pratiche che risultavano divisive.
Lo ha fatto, una prima volta, con l’ordinanza n. 27544 del 28/10/2019, affrontando il tema della durata minima della procedura del Piano del Consumatore (su cui molto si è scritto con approdi diversi) e, una seconda, con l’ordinanza n. 34105 del 19/12/2019 spiegando perché nel sovraindebitamento il frazionamento delle spese di procedura, a differenza di ciò che accade del concordato preventivo, non determinino la sua inammissibilità.
Ma non è questa la ragione che ha fatto ritenere opportuno l’accostamento delle due pronunce.
Entrambe esaminano pregiudizialmente l’ammissibilità del ricorso in Cassazione avverso il decreto che ha rigettato una procedura di sovraindebitamento giungendo a conclusioni opposte: infatti per poter esprimere la propria voce sulla questione sottoposta al suo esame, la Cassazione, con il provvedimento n. 34105/19, si è pronunciata in virtù dell’art. 363 c.p.c. che autorizza la decisione nell’interesse della legge indipendentemente dalla legittimità del ricorso.
Sul punto, da un paio d’anni, la Cassazione, oscilla come un pendolo disegnando archi i cui estremi rappresentano le divergenti posizioni assunte.
Alcune pronunce sostengono che il ricorso in Cassazione ex art. 111 Cost. sia ammissibile in quanto il provvedimento che respinge l’istanza di omologazione del Piano del Consumatore è dotato del requisito della definitività – siccome non altrimenti impugnabile – e della decisorietà – desunto da ipotesi di giudicato a fronte del carattere contenzioso del procedimento (Cass. n. 26328/2016; Cass. n. 4451/2018; Cass. n. 10095/2019; Cass. n. 17834/2019).
Altre pronunce, per le stesse ragioni interpretate in termini opposti (ovverosia che tali provvedimenti siano inidonei a conseguire efficacia di giudicato sia dal punto di vista formale che sostanziale), concludono che il ricorso in Cassazione per questo genere di pronunce non sia mai ammissibile (Cass. n. 19117/2017; Cass. n. 6516/2017; Cass. n. 30534/2018; Cass. n. 34105/2019).
Astraendo dal conflitto interpretativo sul contenuto decisorio del provvedimento ma adottando lo stesso criterio ermeneutico utilizzato dalle due sentenze e da altre che negli ultimi mesi hanno orientato l’interpretazione delle norme attuali in funzione prospettica, guardando alla prossima applicazione del Codice della Crisi d’impresa e dell’Insolvenza, è possibile concludere che la soluzione al dilemma è scritta negli artt. 70 e 50 del D.lgs. n. 14/2019 secondo cui avverso il diniego all’omologazione del piano del consumatore (ma per il concordato minore la soluzione data dall’art. 80 è la medesima) è previsto solo lo strumento del reclamo alla C.A. che decide in ultima istanza senza possibilità d’accesso alla Corte di Cassazione.
Il ricorso in Cassazione è ammesso solo nel diverso caso di reclamo al provvedimento di omologazione e dunque quando il conflitto è acceso dai creditori.
La scelta del legislatore ha il sapore della funzione deflattiva che però non soddisfa l’interprete per una doppia serie di ragioni.
In primo luogo, l’assenza del giudizio di legittimità nelle decisioni che rigettano la richiesta di omologa, priva l’operatore della funzione nomofilattica della S.C. in una materia così ricca di difficoltà interpretative e dalle potenzialità applicative ancora inespresse.
Si consideri infatti che, dopo l’agosto 2020, il riconoscimento al creditore della legittimazione a richiedere la liquidazione controllata del debitore fungerà da detonatore delle proposte alternative avanzate dal debitore stesso.
In secondo luogo il rinvio all’art. 50 del Codice della Crisi è distorsivo come la realtà in un dipinto di Escher.
Infatti l’art. 50 CCI, prestato al sovraindebitamento, al I e al IV comma dispone rispettivamente che: “Il tribunale, se respinge la domanda di apertura della liquidazione giudiziale.. omissis…” e che: “Il decreto della corte di appello che rigetta il reclamo non è ricorribile per cassazione”: dunque si desume che la norma è stata scritta per arginare l’accanimento del creditore nella domanda di liquidazione giudiziale del proprio debitore, costringendolo a contenere le sue velleità al secondo grado di giudizio.
Nella Ristrutturazione dei Debiti del Consumatore (o nel Concordato Minore) invece il rinvio all’art. 50 CCI ha l’effetto di impedire il ricorso al giudizio di legittimità al debitore che attiva per sé la procedura di sovraindebitamento: dunque in un caso costituisce un argine a forme di ostinazione del creditore, nell’altro un ostacolo all’esercizio del diritto del debitore di scegliere il percorso per il conseguimento dell’esdebitazione.
Pertanto anche nel CCI (come nei quadri di Escher) si assiste ad un gioco di specchi che provoca il capovolgimento del pendolo tracciato dagli approdi a favore o contro la ricorribilità in Cassazione: nella giurisprudenza di legittimità da identiche fattispecie fioriscono soluzioni opposte; nel CCI alla stessa norma si affida la disciplina di situazioni del tutto diverse.
E dire che proprio le due sentenze in commento rappresentano la dimostrazione più limpida della necessità dell’intervento della Cassazione nella materia.