La legittimazione dell’associazione professionale per i crediti dell’associato
La sentenza in commento si inserisce nel solco delle pronunce afferenti il tema della legittimazione dell’associazione a far valere i crediti per prestazioni professionali maturati dagli associati invocando il privilegio ex art 2751 bis n 2 c.c..
Il caso muove (come quasi tutte le questioni esaminate dalla giurisprudenza) dalla domanda di ammissione al passivo del credito di uno Studio Legale associato per le prestazioni professionali svolte dai singoli professionisti membri dello stesso; il Tribunale rigettava l’insinuazione perché, in assenza della prova della cessione del credito dall’associato all’associazione, questa fondava la domanda solo sulla presentazione di fatture.
La ricorrente si rivolgeva alla S.C. lamentando che il Tribunale aveva omesso di far ricorso a presunzioni (come altre volte la Cassazione aveva autorizzato in casi analoghi cfr Cass. 8974/2016) per ritenere che il credito le fosse stato ceduto, atteso che la prestazione da cui originava era senza dubbio di natura professionale.
Nella fattispecie, la S.C. respingeva l’impugnazione assumendo che l’associazione non aveva dimostrato la propria legittimazione e che il mancato impiego delle presunzioni semplici da parte del giudice di merito non si presta a censure di legittimità una volta che questi ha diversamente verificato i fatti e la loro rispondenza ai requisiti di legge con processo logico inappuntabile.
La pronuncia è, dunque, l’occasione per capire quali siano le condizioni che permettono all’associazione di assicurarsi il credito e il relativo privilegio.
Innanzitutto, occorre chiarire se il cliente abbia conferito l’incarico al singolo professionista ovvero all’entità collettiva nella quale questi è organicamente inserito quale prestatore d’opera qualificato: nel primo caso, il credito ha natura privilegiata in quanto costituisce in via prevalente la remunerazione di una prestazione lavorativa resa personalmente dal professionista, che rimane unico titolare dell’attività affidatagli ed esclusivo responsabile della stessa nei confronti del cliente.
Nel secondo caso, invece, il credito ha natura chirografaria perché ha ad oggetto un corrispettivo riferibile al lavoro del professionista solo quale voce del costo complessivo di un’attività che è essenzialmente imprenditoriale (Cass. 4486/2015). Quindi, il primo requisito fondamentale per garantire il privilegio al credito è il conferimento del mandato che deve avvenire dal cliente al professionista che svolge il compito.
Il secondo aspetto è quello della legittimazione dell’associazione professionale a far valere il credito.
Sotto questo profilo occorre che vi sia stata una cessione del credito dal professionista all’associazione: questa non incide sulla natura del credito e non lo fa degradare a chirografo ma, al contrario, legittima lo studio associato a far valere il diritto al privilegio (Cass. 18455/11, 11052/12); in alternativa il giudice deve poter indagare sui rapporti tra gli associati, esaminando lo statuto professionale.
È possibile che gli accordi versati nello statuto attribuiscano all’associazione la legittimazione a stipulare contratti e ad acquisire la titolarità di rapporti per poi delegarli ai singoli aderenti.
In tali casi, sussiste la legittimazione attiva dello studio professionale associato, cui la legge attribuisce la capacità di porsi come autonomo centro d’imputazione di rapporti giuridici rispetto ai crediti, per le prestazioni svolte dai singoli professionisti a favore del cliente conferente l’incarico.
Altre volte i professionisti si associano solo per dividere le spese e gestire congiuntamente i proventi della propria attività ma non trasferiscono all’associazione la titolarità del rapporto di prestazione d’opera conservando la rispettiva legittimazione attiva nei confronti del proprio cliente (Cass. 6285/2016, 6994/2007).
Tuttavia, il tema della legittimazione non esaurisce come visto la complessità della questione in quanto l’associazione mira anche al privilegio che è proprio del credito vantato dall’associato.
La domanda di insinuazione al passivo proposta da uno studio associato fa presumere l’esclusione della personalità del rapporto d’opera professionale da cui quel credito è derivato e dunque l’insussistenza dei presupposi per il riconoscimento del privilegio in oggetto, salva l’allegazione e la prova di un accordo tra gli associati che preveda la cessione all’associazione del credito al compenso per la prestazione professionale che ha in tal caso natura personale e quindi privilegiata (Cass. 7899/2020).
Nella specie, in applicazione del suesposto principio, la Corte ha confermato il decreto che aveva ammesso il credito al chirografo, atteso che l’istante aveva chiesto l’ammissione al passivo nella qualità di socio e legale rappresentante di una società tra professionisti deducendo, ma non provando, di aver svolto la prestazione professionale “materialmente e personalmente” in forza di mandato congiunto con altro legale non facente parte della predetta società (Cass. 9927/2018).
Dunque, per raggiungere l’obiettivo, l’associazione deve provare lo svolgimento personale dell’incarico, e l’esistenza di un accordo presente nello statuto che le trasferisca il diritto alla riscossione del credito per prestazione professionali svolte secondo le condizioni rinvenibili nell’art 2751 bis n 2 c.c.