La responsabilità solidale degli amministratori non esecutivi

A cura dell’avv. Gianfranco Benvenuto. Alla stesura del contributo ha partecipato l’avv. Giulia Greco..

Fonte: Cass. Civ. sez. I, 22 aprile 2024, n. 10739

La S.C. conferma che la responsabilità degli amministratori privi di deleghe operative deriva dal non aver impedito “fatti pregiudizievoli” dei quali abbiano acquisito o avrebbero potuto acquisire conoscenza ai sensi dell’art. 2381 c.c., in presenza di “segnali d’allarme” quali la mancata trasmissione di relazioni informative.

Massima
Tanto nella società per azioni, quanto nella società a responsabilità limitata, gli elementi costitutivi della fattispecie integrante la responsabilità̀ solidale degli amministratori non esecutivi sono, sotto il profilo oggettivo, l’inerzia, il fatto pregiudizievole antidoveroso altrui e il nesso causale tra i requisiti, e, sotto il profilo soggettivo, la colpa la quale, a sua volta, si atteggia o nell’inadeguata conoscenza del fatto di chi ha in concreto cagionato il danno, o nella colposa ignoranza del fatto altrui per non avere colto i segnali d’allarme dell’altrui illecita condotta pur percepibili con la diligenza della carica, ovvero ancora nell’inerzia colpevole, per non essersi utilmente attivati al fine di scongiurare l’evento evitabile con l’uso della diligenza predetta (massima ufficiale).

Il caso
L’ordinanza in oggetto trae origine da una domanda di risarcimento proposta dalla curatela di una società fallita nei confronti dei componenti non esecutivi del consiglio di amministrazione per non aver vigilato, in violazione degli obblighi di cui all’art. 2476 c.c., sulle operazioni illecite e distrattive poste in essere dall’amministratore delegato.

In primo grado, il tribunale di Milano aveva respinto la domanda della procedura ritenendo che non ricorressero nella fattispecie concreta specifici segnali di allarme tali da indurre gli amministratori non esecutivi ad acquisire ulteriori informazioni sul merito dell’attività gestoria svolta dall’amministratore delegato.

Avverso la sentenza di primo grado la curatela interponeva gravame dinanzi alla corte d’appello di Milano che, all’esito del giudizio, riformava la decisione assunta dal tribunale, individuando una serie di anomalie e segnali che avrebbero dovuto stimolare gli amministratori non esecutivi a interrogarsi sull’operato dell’amministratore delegato; trattavasi in particolare della ricezione degli estratti del conto corrente bancario presso il domicilio di uno degli amministratori non esecutivi e dunque della possibilità di consultarli regolarmente, nonché della conoscenza o conoscibilità emersa in sede istruttoria della conclusione da parte dell’amministratore delegato di affari esorbitanti la propria delega per ragioni di valore.

La questione
La riforma della disciplina delle società (d.lgs n. 6/2003) ha posto “a carico di ciascun amministratore (con o senza delega) l’obbligo di agire informato (art. 2381 comma 6, c.c.) e del presidente del consiglio di amministrazione l’obbligo di ragguaglio informativo (art. 2381 comma 1, c.c.: ‘Provvede affinché adeguate informazioni sulle materie iscritte all’ordine del giorno vengano fornite a tutti i consiglieri’), prevedendo, altresì, l’obbligo degli amministratori delegati di riferire, con prestabilita periodicità, al consiglio di amministrazione e al collegio sindacale ‘sul generale andamento della gestione e sulla sua prevedibile evoluzione, nonché sulle operazioni di maggior rilievo, per le loro dimensioni o caratteristiche, effettuate dalla società o dalle sue controllate’” (Cass. pen, sez. V, 13 giugno 2022, n. 33582).

L’art. 2381 c.c. deve poi leggersi in combinato disposto con l’art. 2392 c.c. che, al primo comma, affranca gli amministratori non esecutivi da un generale obbligo di vigilanza sull’operato degli amministratori operativi al chiaro scopo di evitare pericolose derive verso ogni forma di responsabilità oggettiva, mentre al secondo comma invoca una loro responsabilità diretta quando non abbiano impedito la commissione di fatti pregiudizievoli per il patrimonio della società da parte degli amministratori operativi se pur a conoscenza, o nella possibilità di essere a conoscenza, di “elementi tali da sollecitare il loro intervento alla stregua della diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze (Cass. civ., sez I, 31 agosto 2016, n. 17441) in forza del loro dovere di agire informati ex art. 2381 comma 6, c.c., che implica la possibilità di chiedere agli organi delegati che in consiglio siano fornite informazioni relative alla gestione della società, ma non riconosce loro un’autonoma potestà di indagine” (Cass. pen., n. 33582/2022 cit.).

Deve infatti escludersi in capo al singolo consigliere non operativo un indiscriminato potere di ispezione e consultazione delle scritture contabili e della documentazione sociale (Trib. Napoli, 18 maggio 2022, n. 4903) in quanto l’obbligo di agire informati sancito dall’art. 2381 comma 6, c.c. deve considerarsi volto a prevenire, non già dei “comportamenti attribuiti a singoli soggetti titolari di specifici ruoli o funzioni all’interno della società, bensì le carenze organizzative e la mancata predisposizione di presidi idonea a intercettare e risolvere le situazioni di conflitto di interesse o identificare e correggere modalità operative erronee o illegittime. Diversamente opinando, non si comprenderebbe la ratio del comma 3 del medesimo articolo, il quale stabilisce testualmente che «Il consiglio di amministrazione determina il contenuto, i limiti e le eventuali modalità di esercizio della delega” (Cass. civ., sez. I, 29 febbraio 2024, n. 5375).

Affinché tali obiettivi possano essere raggiunti, agli amministratori non operativi deve essere garantito un costante flusso informativo in modo da consentire all’intero Consiglio di amministrazione di valutare “l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società” (art. 2381 comma 3, c.c.) oltre che di attivarsi tempestivamente al fine di esercitare proficuamente la funzione di monitoraggio sulle scelte compiute (Cass. civ., sez. II, 7 maggio 2024, n. 12323; art. 2381 comma 3, c.c.: “può sempre impartire direttive agli organi delegati e avocare a sé operazioni rientranti nella delega”) affinché tanto “la scelta di agire quanto quella di non agire sia fondata sulla conoscenza della situazione aziendale” (Trib. Napoli 7 novembre 2022, n. 9850), evitando di trasformarsi in “passivi destinatari delle informazioni rese di sua sponte dell’organo delegato” (Trib. Ancona, 26 marzo 2024, n. 651) o di rimettere integralmente la concreta operatività di tale flusso informativo alle sole segnalazioni provenienti dai rapporti degli
amministratori delegati “giacché anche i primi (ndr amministratori non esecutivi) devono possedere ed esprimere costante e adeguata conoscenza del business” (Cass. civ., n. 5375/2024 cit.; Cass. civ., n. 12323/2024 cit.; Cass. civ., sez. II, 7 maggio 2024, n. 12295; Cass. civ., sez. II, 16 aprile 2024, n. 10288; Cass. civ., sez. II, 4 dicembre 2023, n. 33788; Trib. Bologna 1° febbraio 2023, n. 165) e così considerarsi a tutti gli effetti compartecipi delle decisioni di strategia gestionale assunte dell’intero consiglio (Cass. civ., sez. II, 28 luglio 2021, n. 21602).

Ancor più censurabile è poi il comportamento degli amministratori che conferiscano deleghe a tal punto ampie da esautorare in tutto (nel caso in cui il potere gestorio venga attributo a terzi come in Cass. n. 24068/2022), o in parte, i componenti del consiglio di amministrazione del potere gestorio, rispetto al quale non possono esimersi dal rispondere nel merito delle modalità con cui è stato esercitato se pur da terzi.

Accertata pertanto la violazione dell’obbligo di attivarsi, rilevato altresì che l’intervento tempestivo dell’amministratore privo di deleghe avrebbe impedito il prodursi del danno, l’amministratore privo di deleghe verrà chiamato a rispondere del proprio operato, non già in forza della posizione di garanzia sancita dal primo comma dell’art. 2392 c.c., bensì “per effetto della violazione dolosa o colposa del dovere di informazione che grava sui singoli (…) e di fare quanto nelle loro possibilità per impedire il compimento dell’atto pregiudizievole o eliderne le conseguenze dannose (ndr 2392 comma 2, c.c.)” (Cass. pen, sez. III, 28 marzo 2022, n. 11087; Cass. civ., sez. II, 4 ottobre 2019, n. 24851), dovendosi pertanto confermare che la responsabilità degli amministratori privi di deleghe operative discenda non già da una generica condotta di omessa vigilanza, né implica l’imputazione della responsabilità a titolo oggettivo o per le condotte altrui, ma deriva dal fatto di non aver impedito “fatti pregiudizievoli” dei quali abbiano acquisito o avrebbero potuto acquisire conoscenza ai sensi dell’art. 2381 c.c. (Cass. civ., n.12295/2024 cit.).

Merita infine un ultimo accenno la recente sentenza Cass. pen, sez. V, 21 maggio 2024, n. 20153 che chiaramente “soffre” delle peculiarità della materia penalistica ove statuisce che non possa configurarsi in capo all’amministratore senza delega un’ipotesi di reato (nel caso, bancarotta fraudolenta) che prescinda dall’effettiva conoscenza dei fatti depauperativi o di segnali di allarme scongiurando il rischio di un addebito del reato a titolo di colpa (per fiducia nell’organo delegato o per inettitudine dell’amministratore privo di deleghe).

È chiaro che si tratta di un percorso argomentativo parzialmente autonomo rispetto alle pronunce exartt. 2381 e 2392 c.c. sopra riportate, il cui elemento soggettivo (anche colpa) è tarato sui dettami della responsabilità civile.

La soluzione giuridica
L’ordinanza de qua si inserisce in un contesto di produzione giurisprudenziale particolarmente ricca che ha caratterizzato i primi mesi del 2024 (Cass. 12295/2024 cit.; Cass. civ., sez. I, 17 aprile 2024, n. 10363; Cass. civ., sez. II, 16 aprile 2024, n.10288; Cass. civ., sez. II, 16 aprile 2024, n. 10222; Cass. civ., sez. II, 29 marzo 2024, n. 8581; Cass. civ., sez. I, 29 febbraio 2024, n. 5375) in tema di responsabilità di amministratori non esecutivi.

Nel caso in oggetto, la Suprema Corte, pur allineandosi alla decisione resa dalla Corte d’appello Milano, svolge un percorso argomentativo del tutto inedito rispetto ai precedenti gradi di giudizio, ma perfettamente conforme alla citata produzione giurisprudenziale in sede di legittimità.

La Suprema Corte si “spinge” infatti ad affermare che la mancata trasmissione di relazioni informative è già di per sé circostanza idonea ad evidenziare la sussistenza di un fatto illecito e a costituire il cd “segnale d’allarme” senza poter invocare quali esimenti la lacunosità, l’insufficienza, o come nel caso de quo, una vera e propria carenza assoluta di informazioni, e ciò in forza di quell’obbligo che insiste in capo agli amministratori non esecutivi di sindacare anche in merito alla tempestività e all’effettività del flusso di informazioni ricevute affinché a propria volta possano agire informati in conformità a quanto previsto dall’art. 2381 ultimo comma, c.c. quale sub specie del generale dovere di diligenza che insiste sull’organo gestorio e sui suoi membri.

Osservazioni
Nel caso oggetto della presente analisi, la valutazione operata dalla Suprema Corte, in segno esattamente contrario rispetto al tribunale di Milano (il cui orientamento già poteva intravedersi anche in altro precedente: Trib. Milano, sent., n. 1856/2020), gravita integralmente attorno al profilo soggettivo della colpa, che può consistere sia nella colposa ignoranza del fatto altrui per non aver adeguatamente rilevato i segnali di allarme dell’illiceità della condotta dell’amministratore esecutivo percepibili con la diligenza della carica, sia nell’inerzia colpevole per non essersi utilmente attivato al fine di scongiurare l’evento evitabile con l’uso della diligenza predetta (Cass. civ., sez. I, 26 gennaio 2018, n. 2038).

La valutazione in merito all’effettiva esistenza di segnali di allarme, chiarisce la Corte di cassazione, non può limitarsi ad una mera verifica del merito delle informazioni ricevute, prescindendo totalmente dal contegno tenuto dall’amministratore per procurarsi le informazioni mancanti al fine di adottare o proporre i rimedi giuridici più adeguati per eventualmente valutare la revoca della delega gestoria o l’avocazione al consiglio del compimento delle operazioni rientranti nella delega.

La carenza stessa di informative almeno semestrali, come avvenuto nel caso in oggetto e contrariamente a quanto stabilito dal quinto comma dell’art. 2381 c.c., sull’andamento della gestione, costituiscono di per sé dei segnali d’allarme che dovrebbero indurre l’amministratore non operativo a sollecitare ulteriori approfondimenti senza che da ciò possa inferirsi un generale e indiscriminato obbligo di verifica sull’operato degli amministratori esecutivi.

La decisione della Corte si inserisce peraltro in un contesto più ampio, delineato dalla riforma del diritto societario del 2003, che mantiene in capo agli amministratori non esecutivi il dovere di partecipare alla vita consiliare “nella consapevolezza che non possono esservi flussi informativi corretti né verso i soci né verso gli organi di controllo né verso il mercato, se l’informazione non circola dapprima nelle riunioni consiliari, sì da garantire la trasparenza dell’attività gestionale” (Longo, L’insostenibile leggerezza dell’essere …amministratori “fittizi” e disinteressati, in Rivista delle Società, n 1/2022, 97).

In giurisprudenza certo non sono mancate voci a favore della sussistenza di un obbligo di agire informati solo in presenza di informazioni lacunose provenienti dagli amministratori delegati o che meritino approfondimento (Trib. Catanzaro 16 novembre 2018, in Società, 6/2019, 763) a cui si contrappone l’attuale indirizzo della Suprema Corte, sopra citato in diverse pronunce, che vede sorgere in capo agli amministratori non esecutivi l’obbligo di farsi garanti di un flusso informativo costante.

Affinché tale flusso non si trasformi in un controllo indiscriminato a tutto campo, l’amministratore dev’essere a propria volta dotato di una “minima” competenza gestoria (da valutarsi caso per caso a seconda del tipo di società gestita; ben infatti illustrano le sentenze emesse nel 2024 citate in tema di amministratori non esecutivi di realtà bancarie a cui viene chiesto un livello minimo ben superiore rispetto a quanto è chiamato l’amministratore di una piccola S.r.l.), espressione sempre di quell’agire secondo diligenza da declinarsi in una valutazione volta a focalizzare “non su ciò che egli fa, bensì sul modo in cui lo fa, valutando se e come abbia espletato l’attività prodromica all’assunzione del rischio dell’impresa” (Longo, L’insostenibile leggerezza dell’essere … amministratori “fittizi” e disinteressati, in Rivista delle Società, n 1/2022, 105).

Può affermarsi, in conclusione, che l’accettazione della carica, a prescindere dal ruolo o dalle deleghe assunte, presuppone in capo all’amministratore il dovere di perseguire l’interesse sociale, obbligo che può essere adempiuto solo partecipando attivamente alla vita sociale e consiliare senza assumere cariche esorbitanti le proprie competenze, dovendosi pertanto censurare, malgrado si tratti di una pratica notoriamente insita nel costume nazionale, la nomina di amministratori fittizi e disinteressati, pratica non più giustificabile alla luce della necessità ormai imposta a più riprese dall’ordinamento di mantenere sempre viva quella tensione tra potere/dovere/controllo che, se pur a vari livelli e da diverse angolature, deve esercitarsi secondo parametri di diligenza e perizia per riportare al consiglio nella sua interezza le funzioni, certamente delegate, ma di cui non può ritenersi esautorato.


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