La riforma delle procedure di concordato: ottimismo della volontà

Il decreto-legge 27 giugno 2015 numero 83 ha introdotto alcune modifiche alla legge fallimentare: gli aspetti principali sono gli incentivi al concordato in continuità aziendale con soglie minime a carico dei soli concordati liquidatori (20% di sbarramento) e la previsione di nuove forme di finanziamento per la preservazione dell’azienda.

Il decreto-legge 27 giugno 2015 numero 83 convertito con modificazioni della legge 6 agosto 2015 numero 132 ha introdotto alcune modifiche alla legge fallimentare con particolare attenzione alla procedura di concordato preventivo a cui qui limiteremo l’attenzione.1

Gli aspetti che connotano principalmente la riforma sono gli incentivi al concordato in continuità aziendale che vediamo attuati attraverso l’inserimento di soglie minime a carico dei soli concordati liquidatori (20% di sbarramento cfr art.160) e la previsione di nuove forme di finanziamento rivolte esclusivamente alla preservazione dell’azienda (art.182 quinquies).

Un secondo aspetto rilevante presente nella riforma è l’attenzione quasi ossessiva a promuovere forme di competizione sulle proposte di concordato (art. 163) e sulle offerte di vendita (artt.163 bis e 182) nel proposito di favorire l’incremento dei ricavi e comunque del soddisfacimento dei creditori chirografari.

Inoltre si avverte lo sforzo di rendere più attraente l’accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all’art 182 bis finora abbastanza negletto dai debitori a vantaggio del (fin qui) più duttile concordato preventivo: questo orientamento appare in modo evidente nel nuovo art. 182 septies che introduce forme coercitive di adesione alle proposte rivolte alla maggioranza dei c.d. creditori forti costituiti da banche ed operatori finanziari, ottenendo di fatto l’abbassamento dal 60% al 45% della soglia minima di creditori con cui è necessario accordarsi per raggiungere l’obiettivo della ristrutturazione del debito nelle forme di cui all’art. 182 bis.

Un altro indizio rivelatore del favor verso l’accordo ex art.182 bis è dato dalla riduzione delle distanze rispetto al concordato reso ora meno appetibile attraverso tre interventi: a) la necessità di raggiungere la soglia minima del 40% di soddisfacimento dei chirografari per evitare il rischio di subire il concorso di altri proposte di concordato (art. 163); b) la spinta a maggiori e più approfondite indagini rivolta al C.G. con lo scopo di rendere più strutturato e sicuro il passaggio della notizia criminis al P.M. stimolato così ad agire per i reati concorsuali e societari (cfr artt.161,163,165; c) l’introduzione del voto palese che porta necessariamente a processi di “convincimento al voto” con i creditori determinanti e l’abbandono del procedimento del “silenzio assenso” a cui si deve l’omologa della maggior parte dei concordati successivi alla L 7 agosto 2012 n 134 (cfr. art 178);

Infine ma non ultimo il concordato perde attrazione non solo nei confronti degli accordi ex art 182 bis ma perfino rispetto al fallimento che dalla riforma risulta assolutamente incoraggiato e ciò per le seguenti ragioni: a) come già detto il voto del creditore in concordato è palese e dunque più complicato da conquistare (art.178); b) in caso di molteplicità di proposte, il voto viene richiesto con meccanismi che ne favoriscono la dispersione (art.163); c) con l’introduzione delle offerte di acquisto non condizionabili e dei procedimenti di aggiudicazione da eseguirsi ante votazione vengono a perdersi buona parte (se non tutti) degli incentivi al voto favorevole nel concordato preventivo in quanto rispetto al creditore,una volta effettuata la cessione o l’aggiudicazione del cespite di maggior importanza, viene meno ogni interesse ad appoggiare un concordato (art. 163 bis); d) infine, il C.G. è ora espressamente chiamato a fornire ai creditori ogni indicazione sulle azioni recuperatorie del patrimonio e risarcitorie esperibili in caso di fallimento nonché “ogni altra notizia utile” che quasi mai favorisce l’approdo all’omologa del concordato.

Prima di passare al commento più approfondito degli articoli della riforma, mi permetto di considerare con lo sguardo di chi si avvicina alla riforma con il pessimismo della ragione che è certamente encomiabile orientare l’attenzione al maggior soddisfacimento dei creditori stimolando in tutti i modi le possibilità di maggior gettito a favore di una miglior redistribuzione del ricavato dall’esecuzione del concordato, ma occorre anche considerare, con pragmatismo, che non è armando il fantino di un frustino più grosso che si farà correre un cavallo bolso e che probabilmente l’origine del problema dell’inarrestabile onda delle insolvenze non è la pervicacia dell’imprenditore a danneggiare i creditori, ma un sistema economico troppo penalizzante e rischioso che non permette più a molti piccoli e medi imprenditori di restare sul mercato soffocati da burocrazia e fisco.

L’istituto del concordato preventivo nella formulazione precedente ha rivelato senza dubbio l’inettitudine a perseguire il soddisfacimento dei creditori ai quali spesso venivano distribuite, dopo anni, percentuali ad una cifra 2, ma occorre altresì riconoscere che anche nella sua espressione più modestamente liquidatoria, con scarso o nessun valore aggiunto rispetto al fallimento, detta procedura ha in ogni caso conseguito il successo di aver sottratto una grande quantità di fallimenti al maggior aggravio della macchina della giustizia.

In ogni caso passando all’esame dei singoli articoli riformati, spenderemo alcune parole su ciascuno di essi al solo scopo di coglierne i dati più caratteristici e le conseguenze pratiche più probabili alla luce delle esperienze raccolte sino ad ora.

L’art 160 l.f.,come già anticipato, si caratterizza per l’introduzione della soglia minima del 20% del soddisfo dei creditori chirografari nei concordati liquidatori, con l’obiettivo esplicito di incentivare quelli per continuità che invece vanno esenti da questo limite.

La norma è evidentemente tesa a stimolare gli sforzi dei debitori che utilizzano lo strumento concordatario a salvare l’azienda direttamente o attraverso cessione.

La norma parla dell’obbligo di “assicurare” il pagamento di almeno il 20% dell’ammontare dei crediti chirografari con la conseguenza che (riterrei) il debitore sia obbligato a rilasciare una garanzia che non permetta di scivolare in fase di esecuzione al di sotto di tale soglia.

Occorre aggiungere che l’introduzione della soglia minima se da un lato costituisce un mezzo passo indietro verso il concordato ante riforma del 2005, è dall’altro un’espressione di civiltà che pone un argine alla deregulation a cui neppure la S.C. S.U.n 1521/2013 aveva saputo porre freno dettando il principio che l’ammissione del concordato fosse condizionata al riscontro della capacità di offrire a creditori chirografari una percentuale che, anche ove parziale e modesta, non svilisse l’espressione “soddisfacimento” contenuta nel testo della legge (art 160 l.f.).

La necessità di distinguere chi meriti di offrire una soglia di soddisfacimento inferiore al 20% alimenterà la discussione sulle caratteristiche che debba avere il “concordato in continuità” rispetto a quello “liquidatorio”: ricorderemo che una parte rilevante della giurisprudenza e dottrina era schierata nell’escludere la continuità in caso di affitto d’azienda sul presupposto che non si giustifica in capo al debitore l’analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell’attività d’impresa (richiesta dall’art 186 bis) se il rischio della sua prosecuzione ricade solo sull’affittuario di cui, al più, occorre indagare la solidità economica in relazione al canone convenuto3; né l’affitto costituisce una delle ipotesi previste dal legislatore per definire la continuità aziendale che all’art. 186 bis ha fatto riferimento unicamente alle ipotesi di prosecuzione in proprio, cessione dell’azienda in esercizio, conferimento dell’azienda in società; a questo fronte si contrapponeva invece quello4 che riteneva che anche l’affitto costituisce uno strumento per mantenere in attivo l’azienda e dunque consentirne la continuità finalizzata alla sua vendita.

A questo punto, da questa cruna dell’ago possono passare tutti i destini del concordato e determinare la sua ammissibilità od esclusione almeno nel caso (ricorrente a giudicare dalle esperienze del passato) in cui il contenuto economico del debitore non riesca a superare la soglia del 20%.

La novità si applica ai concordati introdotti successivamente all’entrata in vigore della legge.

L’art 161 l.f. è stato arricchito con due novità:

1) la prima è costituita dall’obbligo di indicare nella proposta la percentuale di soddisfacimento che il proponente si obbliga ad assicurare a ciascun creditore.

In questo caso il legislatore ha deciso di intervenire su un problema che era già stato risolto in maniera difforme dalla giurisprudenza e in particolare dalla S.C. S.U. numero 1521/2013 che aveva stabilito come nei concordati liquidatori la percentuale dichiarata in proposta dal debitore non è vincolante in quanto i creditori esprimono il proprio voto sull’offerta di far dipendere il soddisfacimento del proprio credito dalla liquidazione dell’attivo; diverso è invece il caso in cui il concordato assuma altre modalità (ad esempio per assunzione, di garanzia, in continuità) nelle quali la percentuale offerta costituisce uno degli elementi vincolanti della proposta valutabile ai fini della sua ammissibilità.

D’ora in avanti invece la percentuale offerta dovrà non solo essere indicata ma inoltre “assicurata” con la conseguenza che il tribunale potrebbe ritenere non ammissibile il concordato che non indicasse adeguata assicurazione del soddisfacimento delle percentuali indicate in domanda.

La novità potrebbe porsi in contrasto con quelle forme di concordato autorizzate dall’art 160 comma 1 a) che slegano la soddisfazione del creditore da ogni forma di percentuale riferendosi invece ad es “all’attribuzione ai creditori di azioni, quote ovvero obbligazioni o altri strumenti finanziari e titoli di debito”.

2) Un secondo importante intervento del legislatore all’art 161 è dato dall’obbligo di consegnare al P.M. la copia degli allegati alla domanda di concordato (ex art 161 secondo e terzo comma) e della relazione del C.G. ex art 172.

Questa novità introdotta nell’art. 161 l.f. si affianca a quelle degli artt. 163, 165 e 172 che pongono ora i seguenti obblighi: i) al debitore di consegnare entro i primi 7 gg le scritture contabili e fiscali obbligatorie, ii) al commissario giudiziale di comunicare al PM i fatti che possono interessare ai fini delle indagini penali nonché, iii) ancora al commissario di illustrare le utilità che in caso di fallimento possano essere apportate dalle azioni recuperatorie, risarcitorie e revocatorie.

Fino ad ora l’attenzione del commissario giudiziale rivolta alle scritture contabili che il debitore doveva tenere a disposizione ex art.170 era finalizzata allo scopo: i) di verificare l’elenco dei creditori e debitori e ii) di ricercare eventuali atti di frode che impedissero al concordato di continuare il suo percorso sino all’omologa.

Gli atti di frode non avevano nulla a che vedere con la commissione di reati da parte del debitore ma solo con la loro idoneità ad ingannare i creditori sul contenuto della proposta di concordato nascondendo eventuali condotte che, conosciute, avrebbero potuto orientare diversamente il giudizio dei creditori espresso attraverso il voto5.

Pertanto se ad esempio il debitore si fosse reso responsabile di reati fiscali o di sovrastima di alcune poste del bilancio inidonei ad incidere sul contenuto e la disponibilità mostrata nella proposta di concordato, il C.G. non aveva necessariamente il dovere di sottolinearle attesa la loro neutralità sulla proposta di concordato rispetto alla quale solo i creditori debbono esprimere il voto.

Ora invece la richiesta rivolta al C.G. è esattamente di indicare tutti i fatti aventi rilevanza penale riferita al passato segnalandoli al P.M. così come farebbe un curatore in un fallimento e ciò allo scopo di permettere all’autorità di avviare l’azione penale.

È ben vero che anche nel passato l’art. 236 avrebbe dovuto comportare per gli amministratori dii società fallite gli stessi rischi penali che avrebbero potuto correre in caso di dichiarazione di fallimento, tuttavia, complice il fatto che al P.M. veniva comunicata ex art. 161 solo la domanda di concordato (che il più delle volte è redatta nelle forme asciutte dell’art. 161 comma VI), e che l’informativa era giustificata dalla necessità che ai sensi degli artt. 162 173 o 180 l.f. gli fosse data la possibilità di richiedere il fallimento del debitore, quasi mai veniva aperto un fascicolo penale in capo al debitore in concordato.

Ora invece la ricchezza di informazioni che giungono al P.M. del tutto analoghe a quelle che riceve, in termini di qualità e quantità, dal curatore ex art. 33 l.f., è evidentemente destinata a stimolare l’azione penale, interrompendo la consuetudine che si era formata per cui una delle ragioni che muoveva il debitore al concordato era anche (o soprattutto) quella di ricevere un salvacondotto sotto l’aspetto penale.

Le novità si applicano ai concordati introdotti successivamente all’entrata in vigore della legge

Gli artt. 163 e 163 bis meritano un commento congiunto.

Entrambi volgono la loro attenzione alla necessità di stimolare procedure competitive rivolte sia alle proposte di concordato che alle offerta di vendita o di affitto che trovassero espressione nella domanda o nella procedura di concordato.

Due parole sui tecnicismi introdotti per il concorso di proposte ex art 163 l.f. ammissibili (solo) in tutti i concordati che riservano quote di soddisfacimento ai chirografari rispettivamente inferiori al 30%, per i concordati in continuità, e al 40%, per i concordati liquidatori: per l’esperienza maturata sin qui direi che il superamento delle soglie indicate rappresenta decisamente l’eccezione.

La responsabilità del superamento della soglia è rimessa alla severità dell’attestatore e non più (come indicato negli artt. 160 e 161) alla idoneità del debitore di “assicurare” il suo raggiungimento (ma evidentemente le garanzie offerte favoriscono il disco verde dell’attestatore).

I candidati alla concorrenza sono solo i creditori che raccolgano (anche a mezzo di acquisti posteriormente al concordato) almeno il 10% dei crediti globali e i terzi che siano introdotti dai creditori proponenti (quali evidentemente esecutori materiali della proposta concorrente).

I tempi per mettere insieme una proposta devono tener conto dei seguenti termini:

  1. dalla data di ammissione il tribunale ordina la convocazione dei creditori non oltre 120 gg
  2. il commissario giudiziale comunica ex art. 171 la proposta ai creditori: per tale attività non esistono termini ma diciamo che un C.G. diligente riesca a farlo entro i primi 10 gg.
  3. la domanda di concordato concorrente deve obbligatoriamente pervenire non oltre 30 gg prima della domanda di concordato.

pertanto in tutto, nelle migliori ipotesi del caso, i creditori che volessero candidarsi a proposte alternative avrebbero circa 80 gg (120 – 10 – 30) per: i) valutare la domande “madre”; di concordato ii) raccogliere dal C.G. le informazioni utili per la presentazione di proposte concorrenti sulla base delle scritture contabili e fiscali obbligatorie del debitore; iii) avviare le negoziazioni per acquistare altri crediti per raggiungere la soglia del 10% (ove non ne fossero già in possesso); iv) elaborare la proposta di concordato concorrente cercando l’eventuale terzo che volesse interpretare il ruolo dell’imprenditore esecutore del piano; v) farla attestare quanto meno in termini di fattibilità.

Sull’esperienza maturata, considerato il tempo che normalmente impiega il debitore, che pure dispone già di tutti i dati a predisporre la domanda “madre”, direi che questi possa dormire sonni tranquilli circa l’eventualità di subire la concorrenza di terzi.

Veniamo invece alle ipotesi competitive sulle vendite, disciplinate dal nuovo art. 163 bis.

Ogni qual volta la proposta di concordato preveda di vendere beni o affittare /cedere aziende a candidati già individuati, il tribunale apre un procedimento competitivo volto a trovare altri concorrenti; il soggetto già individuato nella domanda di concordato può partecipare al procedimento competitivo rendendo così irrevocabile la proposta e rinunciando alle condizioni eventualmente originariamente poste.

La gara si deve svolgere sempre prima dell’adunanza in modo che i creditori siano informati al momento del voto.

Come norma di chiusura, l’art.182 l.f. prevede che qualunque cessione posta in essere dopo il deposito della domanda di concordato, debba essere svolta in esecuzione degli artt. da 105 a 108 ter che, sostanzialmente, prescrivono le procedure competitive come metodo di vendita.

Questa novità rischia di diventare il principale ostacolo al concordato in quanto chi si espone a trattare con un imprenditore in difficoltà, soprattutto se interessato all’azienda, desidera farlo in riservatezza e con l’aspettativa di arrivare in fondo senza gli elementi perturbatori introdotti ora dal legislatore, potendo preferire, alternativamente, il fallimento del debitore che quanto meno permette di acquistare (mediamente) a prezzi più vantaggiosi.

Inoltre la rimozione della condizione non permette più di subordinare l’acquisto all’omologa del concordato (come normalmente avveniva) per stimolare l’appetito dei creditori a valutare come premiante la soluzione concordataria rispetto a quella fallimentare.

Infine la tempistica di gara promossa obbligatoriamente entro la data dell’adunanza rischia di sottrarre ogni “appeal” al concordato in quanto il cespite risulterebbe già venduto o assegnato indipendentemente dall’esito della votazione.

Quali possono essere allora le contromisure per il debitore? Poche.

Infatti chi mai si assumerà l’onere di affittare un’azienda assicurandone il rilancio se poi a partecipare all’asta per l’acquisto saranno terzi che avrebbero il vantaggio di acquistare un bene ristrutturato?

Per chi si volesse cimentare nella salvezza dell’azienda le soluzioni potrebbero essere difficili: chissà, forse potrebbe rinviare l’effetto della proposta all’esito della gara, oppure stipulare l’affitto già prima del concordato anche se le laconiche espressioni dell’ultimo comma dell’art.163 bis che avvertono che “le disposizioni del presente articolo si applicano anche all’affitto d’azienda” potrebbero essere interpretate estensivamente anche ai casi di affitto già conclusi ante domanda ex art. 161 l.f.

Pertanto, come già riferito, quella dell’obbligo della gara a qualsiasi costo potrebbe costituire il prossimo principale ostacolo alla scelta del concordato quale strumento di soluzione della crisi, orientandola su soluzioni stragiudiziali ex art 67 (che quantomeno è strumento estremamente flessibile) o sull’accordo di ristrutturazione dei debiti.

Entrambe le norme troveranno applicazione unicamente alle procedure introdotte successivamente alla legge 132/2015.

L’art. 165 integra i compiti del C.G. in conseguenza delle nuove prospettive del concordato e va letto in congiunzione con l’art. 172.

In considerazione della sviluppata necessità di dare risonanza a tutte le ipotesi liquidatorie in modo da richiamare concorrenza sulle vendite, il C.G. deve gestire le informazioni della società e veicolarle a favore di chi si candida a promuovere proposte di acquisto o ulteriori proposte di concordato.

La norma mi pare si scontri con il primo comma dell’art 167 che separa i compiti tra debitore e Commissario riservando al primo l’amministrazione dei beni e l’esercizio dell’impresa e al secondo la semplice vigilanza: d’ora in avanti invece il C.G. esorbiterà notevolmente dai compiti di osservatore prendendosi, in autonomia, la libertà di consegnare dati e informazioni aziendali (pur sotto il vincolo della riservatezza) a chiunque indiscriminatamente glieli chieda per motivi di interesse nell’acquisto dei beni o dell’azienda.

Questo nuovo potere conferito al C.G. mi pare costituisca una considerevole contrazione della libertà amministrativa dell’imprenditore e una decisa svolta verso la “fallimentarizzazione” della procedura di concordato preventivo che una volta avviata con il deposito della domanda non verrà più gestita di fatto dall’imprenditore ma condotta direttamente dal C.G. i cui compiti saranno dunque ben superiori a quelli finora assegnati di semplice arbitro vigilante.

Una nota davvero non capita è il richiamo all’art. 124 comma primo ultimo periodo il cui divieto, “ in ogni caso” troverebbe applicazione anche al concordato: ricordo che la disposizione richiamata fa divieto al fallito di presentare una proposta di concordato fallimentare se non dopo decorso un anno dal fallimento e non oltre due anni dalla esecutività dello stato passivo; attenderemo i commenti dei più titolati studiosi della materia in quanto non si capisce il nesso tra il fallito e il concordato, tra la facoltà del primo di depositare domanda di concordato e la figura del C.G. trattata dall’articolo.

L’art. 172, nello stesso solco, pone al C.G. oltre al compito di districarsi tra le varie proposte che dovessero pervenire in modo da giungere al traguardo finale, fissato a 15 gg prima dell’adunanza, con una informativa completa sulle proposte e loro eventuali modifiche, quello di illustrare le utilità che, in caso di fallimento, possono essere apportate dalle azioni risarcitorie, recuperatorie o revocatorie che potrebbero essere promosse nei confronti di terzi: un’incombenza davvero onerosa da svolgere nei (ristretti) tempi assegnati che (nei migliori dei casi) sono di circa 60 gg così calcolati: 120 gg assegnati per la adunanza, detratti i 45 gg per il deposito della relazione, detratti i 7 gg per la consegna delle scritture contabili e detratti ancora una decina di gg per scrivere la relazione: mal contati dunque restano poco meno di 60 gg per accertare l’esistenza di azioni recuperatorie e revocatorie e, soprattutto, misurare con stime prudenti e calzanti i valori delle possibili azioni risarcitorie: complessivamente una bella sfida.

Entrambe le norme troveranno applicazione unicamente alle procedure introdotte successivamente alla legge132/2015.

L’art. 169 l.f. richiama semplicemente l’ultimo comma dell’art 43 di nuovo conio che, per accelerare i tempi delle procedure, favorisce la trattazione delle azioni in cui sia parte un debitore in concordato.

La norma trova applicazione immediata anche con riferimento alle procedure in corso alla data di entrata in vigore della L 132/2015

L’art. 169 bis si pone per lo più come norma di interpretazione autentica fornendo chiarimenti ad alcune (ritenute) incertezze interpretative emerse in occasione della precedente versione mentre con l’ultimo comma ha innovato completamente la materia disciplinando specificatamente il rapporto del leasing rispetto al quale, nel periodo previgente, la norma ha trovato principale applicazione.

Innanzi tutto la rubrica, cambiata in “contratti pendenti” abbandonando la precedente e forse un po’ equivoca: “contratti in corso di esecuzione” .

La novità allinea in modo non più discutibile l’ambito di applicazione dell’art. 169 bis a quello dell’art.72 riferendolo pertanto ai rapporti “non eseguiti da entrambe le parti” come peraltro la dottrina e la giurisprudenza avevano già da tempo segnalato6: la prima conseguenza è che non sarà più facile dare ulteriore sostegno a quell’indirizzo giurisprudenziale che permetteva l’applicazione dell’art.169 bis (e dunque lo scioglimento del contratto che comporta la caducazione del patto di compensazione tra crediti e debiti) con riferimento a contratti di anticipo fatture nei quali la banca abbia già eseguito pressoché interamente la propria prestazione, rimanendo ineseguita invece solo quella da parte del correntista affidato7.

La norma ha chiarito come nelle domande di sospensione o di scioglimento sia sempre necessaria la convocazione del contraente in bonis, garanzia su cui alcuni tribunali si erano espressi per l’indifferenza sul presupposto che si trattasse in ogni caso di diritti potestativi del debitore8 (mentre in realtà l’altro contraente potrebbe per esempio dedurre l’avvenuta risoluzione del rapporto o la pendenza di una domanda di risoluzione che renderebbe superflua la richiesta di scioglimento).

La terza novità “interpretativa” è legata alla facoltà ora esplicita (ma mai seriamente dubitata) di avanzare le domanda di scioglimento/sospensione anche dopo il ricorso ex art 161 (anche nelle forme del comma VI) e di considerare sciolto/sospeso il rapporto a decorrere dal provvedimento: anche per quest’ultima disposizione l’orientamento era già diffuso nello stesso senso9.

La quarta disposizione (anche in questo caso di natura “interpretativa”) è data dalla chiarificazione che, in conformità e conseguenza a quanto già previsto dagli artt. 161 comma VII e 111 comma II, sono prededucibili i crediti derivanti dalle prestazioni eseguite legalmente dopo la pubblicazione della domanda di concordato anche per quanto riguarda i rapporti di cui all’art. 169 bis e ciò fino al provvedimento che determina la sospensione o lo scioglimento10.

La novità vera è riservata all’introduzione del quinto comma che ripropone esattamente (mutatis mutandis) quanto previsto in sede fallimentare dall’art. 72 quater in relazione al rapporto di leasing: mi pare che da questa introduzione le società di leasing risultino penalizzate in quanto mentre prima potevano reclamare un indennizzo equivalente al “risarcimento del danno” con la nuova formulazione il diritto del concedente è limitato alla differenza tra “il credito vantato alla data del deposito della domanda e quanto ricavato dalla nova allocazione”; l’uso differente di terminologia consente di ritenere che il “credito” è solo quello che deriva dai canoni non onorati passati e futuri e null’altro.

La norma trova applicazione anche per i concordati pendenti al momento dell’entrata in vigore della legge 132/2015.

L’art. 175 ha visto la soppressione del comma 2 (che disponeva la libertà di modificare la proposta sino all’adunanza) per ragioni di coordinamento con il nuovo art. 172 comma 2 che consente la modifica della proposta di concordato solo fino a quindici giorni prima dell’adunanza.

La norma trova applicazione ai concordati avviati dopo l’entrata in vigore della legge 132/2015.

Gli artt. 177 e 178 si occupano del voto e meritano un esame congiunto.

Partendo dalla coda, l’art 178 modifica (nuovamente) l’espressione del voto che, disciplinato da sempre in forma palese, è stato trasformato in “silenzio assenso” dal D.L. n 83 del 22 giugno 2012, convertito con L 134/2012, ed è ritornato palese con la nuova norma.

Immagino che la trasformazione del voto da palese a silenzio-assenso fosse dettato dalla necessità di incrementare il numero delle soluzioni concordate della crisi a vantaggio dei fallimenti; ora, altrettanto, ritengo che sia stato ritenuto eccessivo il ricorso al concordato e dunque si voglia stringere nuovamente le maglie.

A mio sommesso avviso, una via di mezzo più equilibrata, poteva essere ottenuta senza questa ulteriore modifica che rischia di affossare, unitamente alle altre norme che agiscono nella stessa direzione, il concordato preventivo, consentendo probabilmente di riscoprire quello fallimentare da tempo non così applicato.

La creazione di una soglia di sbarramento del 20% (art 160), l’abbandono dell’illusione che il concordato possa rappresentare il salvacondotto per i reati concorsuali, la previsione del divieto di condizionare le proposte di acquisto di beni e aziende all’omologa, la farraginosità dei sistemi di voto previsti in caso di proposte plurime, mi parevano, già di per sé, sufficienti elementi disincentivanti il concordato per non dover agire in modo così diretto sull’espressione del voto, visto soprattutto che il precedente provvedimento normativo intervenuto sulla materia aveva proprio dovuto agire su tale espressione per incrementare una procedura che aveva già al proprio attivo un vasto numero di ragioni per essere preferita al fallimento.

Dunque un provvedimento davvero indicativo della volontà di fiaccare gli entusiasmi verso questa soluzione concordata della crisi.

L’art 177 ne è un altro esempio: in caso di più domande di concordato, la norma prescrive che prima si faccia una gara tra le domande plurime chiamando al voto i creditori e poi su quella che ha riscosso la maggioranza relativa, verrà nuovamente sollecitato il suffragio dei chirografari per misurare il superamento della soglia della maggioranza assoluta e della maggioranza per classi: come anticipato non prevedo un grande successo delle procedure competitive tra proposte concordatarie, ma anche ove qualche domanda dovesse concorrere, mi sembrano complicate le possibilità che riescano a superare il doppio sbarramento, chiamando al voto palese la schiera dei chirografari (ai quali la proposta potrebbe anche offrire percentuali non allettani).

Non vorrei allargarmi con proposte inutili ma forse un’unica votazione con cui si fosse chiesto di dare il voto maggioritario esprimendosi altresì sulla proposta più convincente in modo da far prevalere quella che avesse riscosso la maggioranza relativa, ma appoggiata sulla maggioranza assoluta della scelta concordataria, sarebbe stata una soluzione più pragmatica e meno macchinosa.

Le norme trovano applicazione dopo l’entrata in vigore della legge132/2015.

L’art. 182 quinquies rappresenta l’unico potenziale supporto al concordato a differenza degli altri interventi sin qui visti tutti tesi ad ostacolarlo.

Il primo ritocco riguarda i finanziamenti prededucibili già precedentemente disciplinati (quelli funzionali alla miglior soddisfazione dei creditori), per i quali il legislatore ha considerato necessario aggiungere che il tribunale può autorizzarli “anche prima del deposito della documentazione di cui all’art.161 commi secondo e terzo”: ritengo un po’ oscuro il significato di questa aggiunta che mi pare pleonastica laddove l’articolo consente l’accesso a tali finanziamenti a chi presenta una domanda “anche ai sensi dell’articolo 161 comma VI” che per definizione prescinde dalla documentazione di cui ai precedenti commi II e III.

Nel corso della vigenza del precedente testo si era formata una giurisprudenza molto seguita11 che condizionava la concessione di tali finanziamenti alla presentazione se non del piano completo, almeno di una sua bozza in fase avanzata in modo da permettere al tribunale di comprendere la fondatezza dell’attestazione di miglior soddisfacimento per i creditori a cui la richiesta è condizionata: è dunque possibile che d’ora in avanti si voglia prescindere da qualunque inquadramento nel piano della finanza richiesta e ci si orienti, per la sua autorizzazione, sulla sola attendibilità dell’attestazione.

Al comma III dell’art. 182 quinquies il legislatore ha introdotto una nuova forma di finanziamento “funzionale a urgenti necessità relative all’esercizio dell’attività aziendale” che può essere richiesta dal debitore in sede di domanda ex art. 161 comma VI “anche in assenza del piano di cui all’art. 161 secondo comma lettera e)”; anche in questo caso risulta oscura la ragione per cui, alle medesime condizioni di cui al primo comma (ovverosia: il deposito della domanda ex art 161 comma VI) si sia fatto riferimento (come forma agevolativa) ora -al primo comma- all’assenza della documentazione tutta di cui all’art 161 commi II e III (cfr I comma) e poi – al terzo comma- all’assenza del solo piano di cui alla lettera e) del secondo comma dello stesso art.161

Chi deposita la domanda ex art. 161 comma VI ed è dunque legittimato a richiedere l’autorizzazione a contrarre i finanziamenti, non dispone, per definizione, né della documentazione di cui ai commi II e III (tra cui è ovviamente ricompreso il piano), né tanto meno del solo piano di cui al comma II lettera e) dello stesso art. 161: dunque questa varietà di espressioni su casi identici per dire cose sostanzialmente inutili disorienta e pone preoccupazioni sull’esito dell’istanza.

Fatta questa (spero non inutile) premessa passo ad illustrare il nuovo istituto che permette di ottenere “in via d’urgenza” finanziamenti funzionali a urgenti necessità relative all’esercizio dell’attività aziendale sino alla scadenza del termine fissato dal tribunale ai sensi dell’arti 161 comma VI

Caratteristica di questi finanziamenti (come di quelli di cui al comma primo) è la loro prededucibilità ai sensi dell’art 111 l.f.

Alla lettura della norma non passa inosservata l’enfasi attribuita all’urgenza che tuttavia non mi pare possa connotare queste forme di finanziamento rispetto a quelle “funzionali alla miglior soddisfazione dei creditori” che non possano essere considerati meno urgenti.

Elemento di rilievo è invece la loro finalità rivolta all’esercizio dell’attività aziendale: si è voluto dunque miratamente tutelare la situazione di obiettiva fragilità che vive l’azienda all’indomani della domanda di concordato ex art 161 comma VI in cui gli istituti di credito regolarmente revocano gli affidamenti a causa del venir meno delle garanzie di rientro.

L’elemento di grande novità è che in questo caso il finanziamento è disancorato dalla finalità di miglior soddisfacimento per i creditori e unicamente rivolto alle necessità dell’azienda che non debbono neppure essere attestate.

La concessione è subordinata (oltre alle sommarie informazioni sul piano e sulla proposta in corso di elaborazione) a tre requisiti di facile produzione: a) la specificazione della destinazione dei finanziamenti; b) la dichiarazione (pleonastica) di irreperibilità aliunde di altri finanziamenti; c) il rischio di un pregiudizio imminente ed irreparabile in capo all’azienda.

In coerenza con il principio di urgenza è richiesto che la decisione del Tribunale giunga entro 10 gg.

Un po’ sconcertante è l’ultima parte del comma III dell’articolo secondo cui “la richiesta può avere ad oggetto anche il mantenimento di linee di credito autoliquidanti in essere al momento del deposito della domanda” in quanto ipotesi che pacificamente rientra tra le forme di finanziamenti richiedibili e che pertanto non si comprende la ragione della sua evidenziazione, immaginando ch’essa non risieda in semplici motivi esemplificativi.

Quali sono allora le forme di finanziamento a cui pensava il legislatore? Tra le tante mi vengono in mente il mutuo, il fido expo, il fido di cassa e le anticipazioni su foglio commerciale (quest’ultimi appunto autoliquidanti).

Tra le spiegazioni penso che poiché tutte le aziende con rapporti di fido ne hanno almeno uno autoliquidante, questo è quello che può essere ristabilito “urgentemente” attraverso la richiesta al tribunale e l’offerta alla banca della prededuzione e la garanzia della cessione dei crediti autorizzata dal tribunale.

Meno probabile (ed anche meno giustificabile) è la accensione di una linea di fido autonoma anche se assistita da garanzia reale a meno che non sia giustificata da un’operazione specifica che la richieda (ad esempio un fido expo) e ciò per l’evidente ragione che se non agganciata ad un impiego specifico e definito che ne individui anche i ritorni economici altre forme elastiche di finanziamento (fido di cassa) rischiano solo di allargare il buco del debito.

La norma trova applicazione con riguardo anche ai concordati introdotti anteriormente alla data di entrata in vigore della legge 132/2015.

L’art.182 septies costituisce un vero shock innovativo in quanto introduce elementi di coazione alla volontà della maggioranza, tipici delle procedure concorsuali, applicati a strumenti contrattuali fino ad ora soggetti solo alla volontà negoziale, attraendo così in modo significativo anche l’istituto dell’accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all’art.182 bis all’area gravitazionale delle procedure concorsuali.

Con l’istituto si prevedono due ipotesi di cui la prima da utilizzare in situazione di crisi e dunque come strumento facilitatore per il raggiungimento delle percentuali di adesione richieste negli accordi ex art 182 bis, mentre l’altra è di natura semplicemente contrattuale che prescinde in via di diritto (ma non di fatto) dalla condizione di crisi che non deve essere dimostrata come condizione per accedere all’istituto.

Al primo comma si offre la possibilità al debitore che intenda accedere agli accordi di ristrutturazione dei debiti, di vincolare alla maggioranza qualificata degli istituti di credito la volontà di quelli che non aderiscono all’accordo.

Le condizioni sono che:

  1. l’indebitamento con banche o istituti finanziari rappresenti almeno il 50% dell’indebitamento globale del debitore in crisi;
  2. gli istituti di credito e finanziari abbiano tra loro posizione giuridica ed interesse economici omogenei;
  3. vi siano tra loro banche o istituti finanziari non aderenti al piano rappresentanti fino al 25% della categoria;
  4. si dia dimostrazione di aver “informato” le banche e gli istituti finanziari dissenzienti dell’avvio delle trattative e di averle “messe in condizioni di parteciparvi in buona fede”;
  5. in caso di opposizione dei dissenzienti si dia loro dimostrazione che possono essere soddisfatti in base all’accordo in termini non inferiori rispetto alle alternative concretamente praticabili.

La norma aggiunge che ai fini dell’applicazione dell’istituto “non si tiene conto delle ipoteche giudiziali iscritte dalle banche e dagli istituti finanziari nei 90 gg. che precedono la data di pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese

l’espressione “non si tiene conto” può far riferimento alla posizione giuridica che non muta in conseguenza dell’acquisizione del privilegio ipotecario se non dopo il suo “consolidamento” che dovrà attendere 90 gg. dall’iscrizione e sempre che non sia stato iscritto a registro imprese il ricorso per accordo di ristrutturazione; è inoltre utilizzabile dal tribunale per fornire il nulla osta alla valutazione del soddisfacimento in termini non inferiori rispetto alle alternative concretamente praticabili.

Il tribunale in sede di omologa dell’accordo verifica le condizioni e giudica sulle eventuali opposizioni dei creditori coartati nelle proprie volontà.

Questa nuova modalità per approdare agli accordi di ristrutturazione ha come effetto quello di abbassare in termini significativi la soglia minima dei creditori aderenti all’accordo di ristrutturazione con il vantaggio che non varia la percentuale esclusa dall’accordo (che deve sempre essere non superiore al 40% dell’indebitamento globale) a cui dunque deve essere riconosciuto il 100% del credito.

Infatti dato 1.000 l’indebitamento globale e 600 quello con gli istituti bancari e finanziari è sufficiente trovare un accordo con il 75% di quest’ultima fetta (pari, nell’esempio, a 450) per raggiungere il target dell’accesso all’istituto, abbassando così la soglia dell’accordo negoziale dal 60% al 45%, vantaggio di non poco rilievo.

Come già detto in apertura se si considera che solo i concordati che assicurino un soddisfacimento superiore al 40% dei chirografari permettono di evitare qualsiasi confronto con concorrenti nella presentazione di piani di concordati, ben si vede come le distanze tra i concordati “di lusso” e gli accordi di ristrutturazione si riducano notevolmente anche in considerazione che nel concordato il privilegio generale va (di fatto) pagato al 100%12 (salvo il ricorso alla finanza esterna per il pagamento di IVA e Ritenute), con possibilità di degrado solo relativamente a quello collocato al n 20 dell’art 2778 c.c. e del credito ipotecario, mentre nell’accordo di ristrutturazione la libertà di negoziazione non presenta confini.

Dal tenore letterale dell’art. 182 septies emerge che il c.d. cram down condiziona l’omologa dell’intero accordo e non riguarda la sola estensione dei suoi effetti ai creditori opponenti.

Il comma 5 dell’art. 182 septies introduce (anche qui in modo assolutamente inedito) un tema che ha a che vedere con la crisi ma non con le procedure concorsuali salvo fornire uno strumento utile ad evitarle: si tratta della possibilità per il debitore di stipulare con banche e istituti finanziari che rappresentino almeno il 75% dei crediti della categoria, una convenzione diretta a disciplinare una moratoria temporanea nella restituzione dei crediti; ove la convenzione sia stata stipulata, il debitore può, in deroga agli artt. 1372 e 1411 c.c., obbligare anche gli altri appartenenti alla categoria non aderenti (e rappresentanti non più del 25% della categoria) a soggiacervi alle seguenti semplici condizioni:

  1. che siano stati informati dell’avvio delle trattative;
  2. che siano stati messi nella condizione di parteciparvi;
  3. che un professionista attesti l’omogeneità della posizione giuridica e degli interessi economici tra i creditori interessati dalla moratoria.

Pur non essendo possibile costringere i dissenzienti a nuove prestazioni, la prosecuzione della concessione del godimento del bene (tipicamente: il leasing) non è considerata nuova prestazione.

Il dissenziente può fare opposizione al tribunale il quale verifica, oltre alle condizioni di cui ai punti precedenti, anche la circostanza che “possano risultare soddisfatti in base all’accordo in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili” il ché può risultare un elemento fortemente destabilizzante e con capacità notevolmente riduttive della portata dell’istituto in quanto la moratoria è tesa a dare respiro all’azienda e a permetterne la ripresa in momenti di tensione finanziaria ma non é necessariamente e immediatamente idonea a conseguire il “soddisfacimento”.

Si pensi alla società di leasing che si opponga alla moratoria nel pagamento dei canoni: è evidente che la restituzione del bene e la sua collocazione sul mercato (soprattutto quando il debitore ha pagato buona parte delle rate) rappresenti una ragione di soddisfacimento alternativamente praticabile più veloce, ma certamente non è funzionale alla conservazione dell’azienda e soprattutto al soddisfacimento del debito verso gli altri creditori della stessa categoria.

Infine un elemento di inquietudine capace forse a disincentivare l’applicazione dell’istituto è quello riportato all’ultimo comma secondo cui “la relazione dell’ausiliario è trasmessa a norma dell’articolo 161, quinto comma” ovverosia al P.M., comunicazione che si giustifica nell’ottica di permettere al magistrato inquirente di verificare la ricorrenza della fattispecie di cui all’art.236 come riformulato nella sua rubrica: “Concordato preventivo e accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari e convenzioni di moratoria”, che punisce l’imprenditore che “allo scopo di ottenere il consenso degli intermediari finanziari alla sottoscrizione della convenzione di moratoria, siasi attribuito attività inesistenti ovvero per influire sulla formazione delle maggioranze avvia simulato crediti in tutto od in parte inesistenti

La norma si applica dopo la pubblicazione nella G.U. della legge 132/2015.

L’art. 185 ridisegna la disciplina dell’esecuzione del concordato rispetto al quale risolve il problema dell’imprenditore non collaborativo nell’esecuzione del piano concorrente proposto da un creditore ex art. 163.

In tal caso ove il debitore fosse riottoso o negligente nell’esecuzione, il tribunale (stimolato dal proponente vittorioso) devolve al C.G. i poteri necessari per il compimento degli atti richiesti.

Il sesto comma dell’art. 185 dispone che “Fermo restando il disposto dell’art 173 .. omissis…”: la nuova norma dunque considera la condotta non collaborativa del debitore in fase esecutiva alla stregua dell’atto di frode e prospetta la possibilità della dichiarazione di fallimento; fatta salva questa opzione, il tribunale può in ogni caso sterilizzare la condotta dell’imprenditore, revocando l’organo amministrativo e nominando a tempo determinato un amm.re giudiziario con il compito di dare esecuzione al concordato, incluso il potere di convocare l’assemblea per l’aumento del capitale sociale e l’esercizio del voto nella stessa.

Il compito di amministratore giudiziario è affidato al liquidatore quando è nominato ex art.182.

Anche questa norma trova applicazione ai concordati introdotti successivamente all’entrata in vigore della legge di conversione n 132/2015.

Il commento analitico delle norme permette di concludere con la considerazione che l’obiettivo della riforma è senza dubbio quello di alzare l’asticella degli attuali profili di soddisfacimento dei creditori chirografari nelle procedure di concordato preventivo (soprattutto di stampo liquidatorio) e nello stesso tempo di rendere più facilmente percorribile l’accordo di ristrutturazione dei debiti ex art 182 bis che non ha registrato sinora molto successo.

Viene da chiedersi se il legislatore abbia incrociato il momento storico giusto per proporsi l’obiettivo che si è voluto assegnare e ciò in considerazione del fatto che le imprese italiane sono ancora immerse in una crisi economica ed in una stretta creditizia che stenta a mollare la presa.

Inoltre si deve tener conto del fatto che il modesto risultato in termini di soddisfacimento ottenuto dal concordato sconta in ogni caso prima la riforma del 31/5/2010 n 78 che con l’art 29 ha aggiunto all’art 182 ter le ritenute d’acconto operate e non versate agli obblighi di restituzione al 100%, così come l’IVA e poi le conseguenze derivanti dal D.L. 6 /7/2011 n 98 (convertito con L 15/7/2011 n 111) il cui art 23 co 37° ha modificato l’art 2752 c.c. con un forte incremento delle quote dei crediti privilegiati da dover soddisfare.

Se a ciò si aggiunge che il tetto difficilmente superabile (perché testato attraverso un esperienza di oltre 60 anni) è dato dalle percentuali del 40% di soddisfacimento richieste dalla precedente edizione del concordato preventivo (operante peraltro in epoca in cui i privilegi erariali erano meno gravosi), penso che siano stati introdotti livelli di grande tensione nella capacità di risolvere la crisi attraverso i nuovi strumenti concorsuali che il legislatore ha messo nelle mani dei debitori, molti dei quali, pragmaticamente, vedranno con unico sbocco della crisi, il fallimento.

Si allega di seguito una tavola sinottica dei termini di entrata in vigore dei nuovi istituti rispetto alle procedure concorsuali nuove e vecchie.

concordati
in corsopost D.L.post Leggetema
16020% minimo per i liquidatori
161obbligo % offerta e comunicazione dati al P.M.
163proposte concorrenti
163 bisofferte concorrenti (vendite beni/ aziende/ affitti)
165comunicazione al P.M da parte del C.G. e facilitazione informazioni
169facilitazione cause civili
169 bissospensione / scioglimento contratti pendenti
172relazione del C.G.
175discussione della proposta di concordato / abrogata la possibilità di modifica
177Votazione, proposte di concordato e estensione dei casi di esclusione di voto
178modalità di espressione di voto
181termine della procedura
182modalità di cessioni dopo il deposito del concordato
182 quinquiesfinanziamenti necessari all’attività di impresa
182 septiesaccordi di ristrutturazione e moratorie
185esecuzione del concordato
  1. Gli articoli citati non accompagnati dai dati di legge fanno riferimento tutti al R.D.16/3/1942 n 267
  2. Problema che comunque poteva essere risolto con la semplice attenzione della giurisprudenza ad alzare le soglie di ammissibilità del concordato in conformità alle prescrizioni della S.C. S.U. n 1521/2013 che aveva indicato la causa del concordato nella modalità di risolvere la crisi della società attraverso un soddisfacimento concreto e non puramente virtuale dei creditori, principio che le percentuali ad una cifra promesse ai creditori non interpretava correttamente.
  3. Così M. Vitiello Brevi [e scettiche] considerazioni sul concordato preventivo con continuità aziendale www. Il fallimentarista.it 21.1.13; F. Lamanna La legge fallimentare dopo il “Decreto sviluppo” Milano 2012; T. Patti, 12.11.13; T. Ravenna, 29.10.13; T. Trento 6.4.13 
  4. Così, ad esempio S. Ambrosini in Appunti in tema di concordato con continuità aziendale in Crisi d’impresa e Fallimento 4/8/2013 secondo cui: ”ciò che conta è che l’azienda sia in esercizio (non importa se ad opera dell’imprenditore stesso o di un terzo) tanto al momento dell’ammissione al concordato quanto all’atto del suo successivo trasferimento (cui essa dev’essere dichiaratamente destinata) apparendo in tal caso incontestabile che il rischio d’impresa continui a gravare seppur indirettamente sul soggetto in concordato e che l’andamento dell’attività incida in ultima analisi sulla fattibilità del piano”; idem G.B. Nardecchia – R. Ranalli Sub art 182 bis in Comm Lo Casio 2286; A Patti Rapporti pendenti nel concordato preventivo riformato tra prosecuzione e scioglimento , Fall. 2013, 269-270.; T. Cuneo 29.10.13; T Firenze, 19.3.13;T.Bolzano 27.1.13
  5. Ad esempio la liquidazione di un socio prima del concordato attingendo alle risorse della società non si qualifica come reato ma può integrare un atto di frode. 
  6. Cfr F. Lamanna La nozione dei “contratti pendenti” nel concordato preventivo in www. Ilfallimentarista.it; T.Milano 11/09/2014; A Venezia 26/11/2014; T. Ferrara 23/07/2015.
  7. T. Venezia 20/01/2015; T. Rovigo 07/10/2014; A.Genova 10/02/2014; T. Busto Arsizio 11/02/2013; T. Monza 16/01/2013. 
  8. T. Rovigo 18 09/2014; T. Ravenna 22/10/2014 ; T. Udine 25/09/2013; T. Busto Arsizio 24 luglio 2014.
  9. T. Milano 28/05/2014; A.Genova 10/02/2014.
  10. T. Modena 07/04/2014.
  11. T.Bergamo 26/06/2014; T.Modena 29/05/2013 ; T.Milano 21/12/2012
  12. Cfr T. Torino 22/1/2015 secondo cui l’obbligo del pagamento integrale dell’IVA e delle Ritenute operate e non versate comporta il divieto di degradare i creditori poziori impiegando il patrimonio del debitore per il pagamento dell’IVA e RITENUTE pena incorrere nel divieto di sovvertire l’ordine delle cause di prelazione.


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