Revoca e risoluzione del concordato preventivo


Cass. civ., Sez. VI, ord. 14/09/2020, n. 19007, Pres. est. Dott. Scaldaferri, Rel. Dott. Campese

Il tribunale a cui è richiesta la risoluzione per inadempimento di un concordato preventivo già omologato, una volta accertati i presupposti e pronunciata tale declaratoria, non può procedere anche alla revoca dell’ammissione del debitore alla procedura concordataria.

Il caso è quello di una società in accomandita semplice in concordato preventivo che, dopo oltre due anni dall’omologazione, ha subìto la revoca della procedura concorsuale per effetto della stessa sentenza che ne aveva pronunciato la risoluzione per inadempimento. Con un secondo contestuale provvedimento la società era stata dichiarata fallita insieme, per estensione, alla socia accomandataria.

Quest’ultima, dopo aver infruttuosamente impugnato la sentenza di risoluzione e revoca, ha proposto ricorso per cassazione avverso la decisione sfavorevole della Corte di appello.

La questione sottoposta all’esame della Suprema Corte riguarda la sussistenza o meno in capo al tribunale del potere di revoca del concordato quando gli sia domandata la risoluzione per inadempimento e offre lo spunto per mettere in luce le differenze tra i due istituti disciplinati rispettivamente dagli artt. 173 e 186 l.fall.

La netta diversità emerge sin dai presupposti: mentre la revoca dell’ammissione al concordato è il rimedio alla carenza delle condizioni di ammissibilità della procedura (o al compimento da parte del debitore di atti in frode o non autorizzati), la risoluzione costituisce il rimedio all’inadempimento degli obblighi concordatari e, dunque, a una inesatta esecuzione del concordato ammissibile e ammesso.

Risulta evidente come la revoca e la risoluzione si collochino in due fasi temporali differenti della procedura, il che è sottolineato dalla diversa posizione occupata nella geografia della legge fallimentare dalle due norme di riferimento: la revoca ex art. 173 l.fall. è possibile esclusivamente nell’intervallo che intercorre tra l’apertura [rectius ammissione] della procedura e la sua omologazione; la risoluzione di cui all’art. 186 l.fall. può essere richiesta da ciascun creditore a seguito del decreto di omologa ex art. 180 l.fall. e quindi successivamente alla chiusura del concordato, momento dal quale inizia la fase di esecuzione dello stesso e rispetto alla quale può verificarsi l’evento dell’inadempimento.

La conclusione che se ne trae è che il tribunale chiamato a decidere in merito ai presupposti della risoluzione del concordato per inadempimento, una volta accertata la loro sussistenza, non può pronunciare insieme al rimedio risolutorio anche la revoca dell’ammissione alla procedura concordataria.

Il principio affermato dalla Cassazione è rilevante anche con riferimento alle conseguenze dei due istituti esaminati.

Come emerge dalla rubrica dell’art. 173 l.fall., recitante “Revoca dell’ammissione al concordato e dichiarazione del fallimento nel corso della procedura”, una volta emanato il decreto di revoca, il tribunale, in presenza dell’istanza di un creditore o della richiesta del P.M., dopo averne accertati i presupposti dichiara con separata ma contestuale sentenza il fallimento del debitore revocato dal beneficio della procedura concordataria.

E, se l’imprenditore che ha proposto il concordato revocato versa in stato d’insolvenza, la sua declaratoria di fallimento può darsi per certa poiché, da un lato, il presupposto soggettivo di fallibilità è lo stesso richiesto per l’assoggettamento al concordato e, dall’altro lato, il P.M. non farà mancare la sua richiesta di fallimento considerato che per legge viene informato dell’apertura del procedimento di revoca direttamente dal tribunale che l’ha disposta (così come i creditori dal commissario giudiziale).

Diversamente, l’art. 186 l.fall. non prescrive alcuna comunicazione dell’intervenuta risoluzione del concordato in favore di soggetti terzi cosicché, una volta concluso il procedimento, il debitore che prima era in concordato torna in bonis con la prospettiva potenziale di evitare la dichiarazione di fallimento, qualora non venga raggiunto da una specifica domanda che avvii un nuovo procedimento ex art. 15 l.fall.


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