Sindaci Responsabili per mala gestio amministratori anche in caso di dimissioni
La Corte di Cassazione con la sentenza 12 luglio 2019, n. 18770 ha definito l’ampiezza della responsabilità dei sindaci per concorso omissivo con la condotta degli amministratori (art. 2407, co. 2 c.c.) affermando che sono responsabili per i danni causati alla società e ai creditori sociali anche se: i) tenuti all’oscuro dagli amministratori circa i fatti illeciti; ii) hanno assunto la carica dopo la realizzazione dei fatti illeciti e iii) hanno presentato le dimissioni.
Il dovere di vigilanza ex art. 2403, co. 1 c.c., la cui inosservanza integra la condotta antidoverosa fondante la responsabilità di cui si tratta, comporta per i sindaci l’obbligo di attivarsi attraverso tutti quegli strumenti che le norme positive mettono a disposizione, a partire dagli atti di ispezione e di controllo, dalla richiesta di notizie agli amministratori e dallo scambio di informazioni con gli omologhi delle società controllate di cui all’art. 2403-bis c.c.
Vi sono poi: la convocazione e la segnalazione all’assemblea delle irregolarità riscontrate ai sensi degli artt. 2406, co. 2 e 2408, co. 1 c.c., l’impugnazione della deliberazione viziata ex artt. 2377 s. c.c., il ricorso al tribunale per la riduzione del capitale per perdite ex artt. 2446 e 2447 c.c., il ricorso al tribunale per la nomina dei liquidatori ex art. 2487, co. 2 c.c. e la denunzia al tribunale ex art. 2409, co. ult. c.c.
Data l’ampiezza delle iniziative a disposizione dei sindaci, un loro difetto di conoscenza in merito alla gestione illecita, anche ove nulla traspaia da formali relazioni degli amministratori, integra comunque l’elemento soggettivo della fattispecie di responsabilità nella sua accezione di colpa nella conoscenza.
Peraltro oltre al riconoscimento della condotta illecita da intercettare mediante ogni canale conoscitivo, in capo ai sindaci pesa anche la consapevolezza di tenere una condotta inerte senza porre in essere quelle azioni volte ad impedire la prosecuzione, la reiterazione o l’aggravamento del fatto dannoso.
Per il sindaco si tratta di colpa per mancata attivazione di una condotta dovuta da cui consegue che la sua designazione alla carica di organo di controllo solo dopo la commissione dell’illecito non è di per sé sufficiente ad esimerne la responsabilità, in quanto l’accettazione della carica comporta comunque l’assunzione dei doveri di vigilanza e di controllo. Dunque anche quando l’attività illecita sia stata compiuta anteriormente l’assunzione della carica, il sindaco è tenuto ad attivarsi per individuare la mala gestio e a porvi rimedio.
Anche le dimissioni presentate dai sindaci che non siano accompagnate da atti concreti volti a contrastare gli illeciti gestori integrano l’inadeguata vigilanza verso lo svolgimento dell’attività sociale, ed anzi equivalgono ad una sostanziale inerzia andando a costituire esemplari della condotta colposa tenuta dal sindaco.
Ovviamente tra l’omessa vigilanza o inerzia dei sindaci e l’illecito degli amministratori deve sussistere il nesso causale da accertare attraverso il c.d. giudizio controfattuale ipotetico, vale a dire quel ragionamento volto a dimostrare, secondo l‘id quod plerumque accidit che l’evento dannoso si sarebbe ragionevolmente evitato se i sindaci si fossero attivati.
In conclusione, i componenti degli organi di controllo delle società di capitali possono essere esonerati dalla responsabilità omissiva per fatto proprio colpevole solo quando abbiano esercitato o tentato di esercitare l’intera gamma di poteri istruttori e impeditivi affidati loro dalla legge ovvero nel caso in cui non venga fornita la prova (almeno indiziaria) del nesso causale tra la condotta omissiva e l’evento lesivo.